Samarcanda, appuntamento con la Morte. Come il soldato di Vecchioni, che terrorizzato scappa a Samarcanda per poi finirle comunque tra le braccia.
Samarcanda è una meta turistica, eccome! Uno di quei posti in cui vai solo per vedere i monumenti, perché la città, diciamocelo onestamente, lascia un po’ a desiderare. Ma è uno di quei posti così mitici che, quando ci si accinge al viaggio, c’è solo un vago desiderio di scoperta carico di riferimenti personali, a volte un po’ scollegati dalla realtà.
Al Bazaar, la Moschea sullo sfondo
Sono partita per Samarcanda con i seguenti riferimenti:
- la succitata canzone (“oh oh cavallo”, per intenderci)
- il libro Sulla via dorata per Samarcanda di Umberto Cecchi, racconto di un viaggio di lavoro in Uzbekistan con Vittorio Sgarbi
- il libro Samarcande di Amin Maalouf, che racconta la vita di Omar Khayyam – filosofo, poeta, matematico persiano
Riferimenti utili per far volare la fantasia. E anche davanti al Registan, che quando poi lo vedi ti domandi come faccia ad entrare in una sola foto nelle guide di viaggio, ho proseguito il mio viaggio fantastico.
Allora (e questa è storia), nella seconda metà del Trecento, regna a Samarcanda l’Emiro fondatore della dinastia dei Timuridi, Timur the lame (Timur lo zoppo), per tutti noi Tamerlano. Più che un semplice Emiro fu uno spietato conquistatore che si prefisse di ripristinare il regno mongolo di Genghis Khan, conquistò tutto dalla Turchia all’India, ma questa è un’altra storia. Quella che mi piace è una storia d’amore e architettura. Sì, perché, oltre ad essere la “Spada dell’Islam”, Timur era anche un patrono delle arti: con lui nacque lo stile timuride, la massima espressione dell’architettura islamica in Asia Centrale, che personalmente trovo bellissimo.
La Moschea di Bibi Khanum
Tamerlano era sempre in viaggio ma voleva che la sua capitale, Samarcanda, diventasse una delle città più belle del mondo. Verso la fine della sua “carriera” decise di far costruire una moschea in onore della sua prima moglie. Tamerlano aveva otto mogli, ma la sua preferita era Sarai Mulk “Bibi” Khanum, una principessa mongola famosa per la sua grazia e bellezza. Si trattava di un progetto ambiziosissimo, si doveva erigere la moschea più bella e imponente di tutto il regno timuride, senza risparmio di talento e denaro (150.000 persone, tra cui i migliori architetti e decoratori del regno, e 99 elefanti portati dall’India) ma in poco tempo: Timur stava invecchiando e aveva paura di non vedere il compimento dell’opera. Si narra che Timur facesse buttare cibo -pecora bollita- ai lavoratori per spronarli a non perdere neanche un minuto.
Ad inizio lavori il nostro Emiro dovette però partire in guerra, così lasciò la supervisione a due nobili timuridi, che avevano come unico mandato quello di terminare la moschea prima del suo ritorno. Al suo ritorno la moschea era sì terminata, ma il portale non gli piaceva e i due malcapitati incapaci vennero liquidati. Rapidamente impiccati. Così dice una delle storie.
Il progetto originale della moschea
Un’altra storia dice che la supervisione dei lavori, iniziati nel 1399, venne affidata proprio alla moglie, Bibi. Partito l’Emiro, i lavori vanno a rilento. Bibi incita l’architetto persiano (il “capo cantiere”, di Mashad) ad accelerare i tempi, ma lui non ne ha la minima intenzione: pazzamente innamorato di Bibi, cerca anzi di prolungare più che può la sua permanenza a Samarcanda. Ecco che giunge voce di un ritorno imminente di Timur, Bibi si innervosisce, lo sfacciato architetto gioca il tutto per tutto: la moschea sarà pronta in tempo, in cambio di un bacio. Bibi, sconvolta, le prova tutte, gli offre le sue schiave, perché in fondo le donne sono come le uova decorate: diverse fuori, ma una volta rotte sono tutte uguali. Ma l’architetto insiste: prendi due bicchieri uguali, uno lo riempi di acqua e uno di vino, i bicchieri sono sempre uguali, ma se bevi solo il vino ti farà bruciare. Così è l’amore per una donna.
Vuoi per la pressione del rientro di Timur, vuoi perché forse poi l’architetto non le dispiaceva, Bibi gli permette di baciarle la guancia. Il danno è fatto. Il bacio lascia una bruciatura sul viso di Bibi che, donna piena di risorse, decide di indossare un velo per coprirsi il volto, e che tutte le donne del regno devono fare la stessa cosa in segno di rispetto per i loro mariti. Timur torna, ma il velo proprio non gli piace. Ancora meno gli piace il segno che trova sulla guancia di Bibi, si arrabbia tanto che fa seppellire viva la moglie adorata in una tomba all’interno della moschea e decide di tagliare la testa all’architetto persiano. Ma il fedifrago, braccato, si rifugia in cima al minareto della moschea da dove spiega le ali e vola via verso la sua nativa Mashad. Quindi Bibi muore, l’architetto “mette le ali”, e le fortunate donne del regno sono obbligate ad indossare il chador per il resto della loro vita. Giustizia è fatta.
La Moschea dopo il terremoto del 1897 – da un articolo di Elena Paskaleva
Bene, realtà o leggenda, alla Moschea di Bibi Khanum si respirano passione e rimpianto. Una volta finita, nel 1404, la moschea doveva veramente essere il gioiello dell’impero timuride: il portale d’ingresso misurava 35 metri di altezza, solo il cielo era più alto della sua cupola, le sue decorazioni rivaleggiavano con lo splendore della Via Lattea. Ma l’ambizione di Timur era andata oltre i limiti strutturali dell’architettura del tempo, la struttura non reggeva, e il forte terremoto 1897 le ha dato il colpo di grazia. Per qualche oscuro motivo (o per fortuna), i russi hanno limitato i lavori di restauro che invece rendono un po’ finto il resto dell’Uzbekistan, e alla Moschea si può ancora sognare, guardando i muri in rovina, la sfortunata sorte della bella Bibi.
Il leggio
Ma poi, da qui nasce la vita. Nel cortile centrale della Moschea c’è un enorme leggio su cui si posava un enorme Corano di 300kg del VII-VIII secolo (ora conservato a Tashkent). La leggenda vuole che il leggio porti marito alle donne che ci girano attorno, e fertilità a quelle che ci passano sotto gattonando. E a pochi passi dalla Moschea c’è il Bazaar di Samarcanda, pieno di vita e di donne che vendono frutta e caramelle talmente dolci che le amarezze di Bibi sembrano un ricordo lontano.
Ai miei occhi, la moschea di Bibi Khanum è come il volto di una bella donna matura senza trucco né ritocchi: le rughe non offuscano lo splendore di un tempo, anzi danno una dimensione reale, tangibile. E’ un luogo malinconico, struggente, ma allo stesso tempo rassicurante, confortante: un po’ come il ciclo della vita, infinito nei suoi alti e bassi. Per una volta, forse conviene lasciare a casa la Lonely Planet, partire con il libro di Cecchi e lasciare che la mente si goda il suo viaggio personale.
- Al Bazaar, la Moschea sullo sfondo
- Il leggio
- La Moschea di Bibi Khanum
- La Moschea
- Il progetto originale della moschea
- La Moschea dopo il terremoto del 1897 – da un articolo di Elena Paskaleva
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