L’ingresso in Kirghizistan ci ha fatto sentire viaggiatori d’altri tempi: a piedi dall’Uzbekistan, trascinando i nostri trolley nella polvere, con il nostro visto d’ingresso che in realtà da agosto 2012 non serve più. Poi il volo Osh-Bishkek, dal sud al nord del Paese, ci ha regalato la prima nota di magia: le misteriose cime del Pamir al sud, la fertile valle di Ferghana con le sue oasi e le sue meraviglie architettoniche a est, e sotto di noi i monti innevati del Tian Shan. Un paradiso per gli alpinisti, visto che il 94% del terreno è montuoso e si contano 3 cime di 7000 metri.
Festa tradizionale in una yurta
Ma per noi gente di mare, cosa si fa in Kirghizistan? La tradizione dice che per capire questa terra bisogna assaggiare il kumys (la bevanda nazionale), dormire in una yurta (la casa mobile tradizionale) e montare a cavallo (l’animale nazionale). Abbiamo reso omaggio alla tradizione, e poi ci siamo lasciati ammaliare dalle mille leggende che fanno di questa “Svizzera dell’Asia” un posto unico. Naturalmente con il nostro “tumar” al collo, l’amuleto dei viaggiatori.
Il Kirghizistan è una repubblica dell’Asia Centrale, indipendente dall’URSS dal 1991. La leggenda dice che un giorno d’estate Dio chiamò a raccolta tutti i popoli per assegnare a ciascuno una terra in cui stabilirsi e prosperare. Tutti si accalcarono al cospetto di Dio per ottenere la terra da loro bramata, a parte i Kirghisi: popolo nomade, erano in cima agli alti pascoli, i jailoo, e non si accorsero della chiamata divina. Così arrivò l’inverno, i Kirghisi scesero a valle e trovarono tutti i terreni occupati da altri popoli. Costernati, si rivolsero a Dio per trovare una soluzione, e Dio disse: “poiché non vi siete accapigliati con gli altri popoli, ma vi siete dedicati al vostro duro lavoro, vi faccio un dono: vi offro la mia residenza estiva.” E fu così che i Kirghizi ricevettero questa terra in dono da Dio. Non si sa esattamente di quale Dio si tratti, poiché i Kirghisi sono oggi ufficialmente in maggioranza musulmani sunniti moderati e tradizionalmente animisti, ma poco importa.
Statua di Manas a cavallo
I primi Kirghisi sono descritti nelle antiche cronache cinesi come tipi dalla pelle chiara, occhi azzurro-verdi e capelli biondi o rossi, ma i Kirghisi di oggi hanno piuttosto l’aspetto mongolo. Secoli di invasioni e di nomadismo hanno mischiato le carte della genetica, ma un eroe ha unito il popolo kirghiso: Manas, le cui gesta hanno dato origine al poema epico più lungo della storia, il capolavoro della cultura popolare kirghisa (mezzo milione di versi – venti volte la somma di Iliade e Odissea – e per chi volesse cimentarsi nella lettura esiste anche una versione in inglese). Per secoli l’epica si è tramandata solo oralmente grazie ai Manaschi, uomini illuminati a cui Manas in persona, dice la leggenda, raccontava la storia in sogno affinché essi la divulgassero.
Secondo la tradizione kirghisa, i cavalli sono “le ali dell’uomo”. I primi abitanti di questa zona furono, pare, gli sciti (VIII sec A.C.), popolazione semi-nomade mitologicamente nata, sembra, dall’unione di un eroe greco e di una donna serpente, la cui vita era strettamente legata all’uso del cavallo. Mezzo di trasporto, fonte di sostentamento, e compagno di giochi, tanto erano legati che venivano seppelliti insieme. Sugli alti pascoli del lago Song Kul, un gioiello a 3100 metri slm, si vedono ancora le tracce delle tombe scite non lontano dagli accampamenti di yurte. A parte la sepoltura, poco è cambiato. Fuori dalla capitale, tutti girano a cavallo. Si gioca ancora a buzkashi, tipo polo ma con una capra al posto della palla; o al meno violento “kiss the girl”, in cui un ragazzo deve raggiungere e baciare una ragazza, entrambi a cavallo, e se lui fallisce lei è autorizzata a picchiarlo con il frustino.
Preparazione del Kumys
E si beve ancora il kumys (Ҡымыҙ), latte di giumenta fermentato, leggermente alcolico, panacea per l’intestino e la pelle. Allungato con latte di giumenta appena munto è una gradevole bevanda rinfrescante e purificante detta saamal che forse non ci ha resi più belli, ma l’abbiamo gradita. Per preparare il kumys, il latte viene messo in un secchio e mescolato continuamente con uno speciale bastone, chiamato “bishkek”. La leggenda racconta che una vecchia signora distratta dimenticò il suo prezioso bishkek in un villaggio nella piana di Chuy, e da questa sua distrazione deriva il nome della capitale kirghisa. Si narra poi che quando i Russi entrarono in città all’inizio del Novecento, il generale bolscevico Frunze chiese ad un vecchio sdentato come si chiamasse il posto, al che il vecchio rispose (immaginiamo sputacchiando) “Pishpek”. Prontamente ribattezzata “Frunze” durante i 70 anni di dominazione sovietica, nel 1991 ridivenne Bishkek. Curiosamente, la sigla internazionale dell’aeroporto della capitale è rimasta FRU.
I nuovi padroni di casa, i Russi, scoprirono anche una amena località di villeggiatura, il lago Issyk-Kul. Situato a 1600 metri slm, ai piedi della catena del Tian Shan, l’Issyk-Kul è il secondo più grande lago d’altitudine dopo il Titicaca. Le sue acque sono leggermente salate, quindi non ghiacciano mai, e fanno sì che la costa nord goda di un clima relativamente mite tutto l’anno. È bellissimo fare il bagno con le cime innevate come cornice! In realtà la bellezza del luogo si spiega con una leggenda. Viveva nella piana a nord del Tian Shan una bellissima ragazza che aveva due focosi pretendenti e non sapeva quale scegliere. Stanchi di attendere, i due si sfidarono a duello e purtroppo morirono entrambi. Disperata, la ragazza morì di dolore e dal suo cuore sgorgarono le acque che riempirono la piana e formarono il lago Issyk-Kul. I venti opposti che dalle montagne a sud e a nord sferzano le acque del lago sono in realtà gli spiriti dei due pretendenti che continuano a lottare per l’amata.
La fortezza di Tash Rabat e un campo di yurte
Anche la fortezza di Tash Rabat, a 80km dal confine con la Cina, ci racconta una leggenda d’amore. Si narra che questa fortezza, situata a 3000 metri slm sulla strada che porta al passo di Torugart e poi all’allora potente regno di Kashgar, fu costruita da padre e figlio: il padre lanciava le pietre dalle pendici della montagna al figlio che le prendeva al volo e costruiva la fortezza. Nel traffico delle carovane per Kashgar, lungo la via della seta, il ragazzo scorse una bellissima ragazza cinese e se ne innamorò. Per raggiungerla costruì, di nascosto dal padre, un tunnel che da una delle 30 piccole stanze da letto portava direttamente in Cina. In realtà, le origini di questo luogo, una delle più imponenti costruzioni in pietra di tutta l’Asia Centrale, non sono chiare. Pare sia stato tempio buddista, chiesa nestoriana, caravanserraglio, moschea, prigione. Oggi è semplicemente un’affascinante oasi di pace, accanto alle immancabili yurte, ai bordi di un gelido ruscello dove pascolano cavalli, cammelli, yak, mucche e pecore in perfetta armonia, e dove abbiamo fatto le nostre abluzioni mattutine.
Sposa rapita con il marito pastore mentre munge una giumenta al lago Song Kul
L’unica tradizione che non ci sentiamo di celebrare è quella della sposa rapita, Ala Kachuu (ricordate “Sette spose per sette fratelli”?), pratica illegale ma ancora molto diffusa. La vita del pastore sugli alti pascoli è dura senza una donna accanto, così gli uomini che non hanno tempo e denaro per le formalità matrimoniali semplicemente rapiscono una donna e se la portano nella yurta, con l’aiuto dei propri amici e familiari. Ai parenti dello sposo va poi il compito di informare la famiglia della rapita e fare pace. Se volete farvi un’idea, consigliamo il film “Pure coolness” del regista kirghiso Ernest Abdyjaparov (2007). A nostro parere diseducativo e scontato, ma grande successo di pubblico, a voi il verdetto! Ma non lasciate che questo film condizioni i vostri programmi di viaggio in Kirghizistan!