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Metti un po’ di Sala nella tua Expo

Creato il 29 maggio 2013 da Albertocapece

untitledAnna Lombroso per il Simplicissimus

Troppo  presi dalla Weltanschauung  5 stelle, non si sono accorti – “cittadini” in testa – che fuori o dentro ai palazzi, centrali o periferici, proseguivano intemerate la care vecchie e collaudate abitudini, i concorsi a premi per posti d’oro, truccati per far vincere  i soliti amici di provata fedeltà e affiliazione, ritorni alla barbarie spacciati per modernità, conflitti con il bene comune e l’interesse generale narrati come libera e desiderabile competitività.

Oggi in Gazzetta viene ufficializzata la figura “multitasking” del Commissario straordinario dell’Expo, che non ha nulla di “straordinario”, in verità, o di speciale perché il soggetto identificato per vigilare su trasparenza, efficienza, legittimità e legalità di opere e procedure legate al grande evento, è proprio l’ìdealtipo per non dire il volto prestato alla categoria del boiardo, disinvoltamente migrato dal privato al pubblico, trasferendo con le competenze maturate, altissimi stipendi, amicizie influenti, priorità e usi consolidati.   Si tratta di Giuseppe Sala,  ovviamente bocconiano,   personaggio descritto come riservato, schivo e sobrio, salvo forse nell’aggiudicarsi compensi lauti in Pirelli, Telecom, Tim,  tanto doviziosi da far dichiarare perfino a lui che forse erano “esagerati”. Nel 2009, dopo un passaggio in Nomura Bank,  Letizia Moratti lo nomina direttore generale del comune di Milano: manterrà la carica fino a giugno 2010, quando viene scelto per guidare da amministratore delegato l’Expo 2015,   la società di gestione dell’evento. E ora Commissario straordinario, scelto da Letta ma visti i precedenti i suggeritori del suo nome sono facilmente identificabili.

Succede che io ultimamente in tardivo omaggio al mio prozio, sconfini nella fisiognomica. E infatti a guardare la foto si indovina l’appartenenza naturale a quel ceto di manager, alti funzionari e tecnici, un po’ grigi come fossero foderati di moquette o di tessuto impermeabile a tutto,  allevati per stare al servizio ubbidiente e solerte di un padronato, cui piacciono i grandi affari e i sontuosi profitti a spese – preferibilmente – dello stato e della collettività. Quattro  anni fa, in occasione della nomina al Comune di Milano,  il Sole 24 ore, nello sciorinarne i meriti di prezioso servitore dei suoi datori di lavoro, tutti entusiasti delle sue prestazioni oculate e premurose, racconta come nel corso degli anni Sala si sia guadagnato anche la stima di Bruno Ermolli, il consulente factotum di Silvio Berlusconi,   che lo raccomandò alla sindaca per la non facile poltrona di direttore generale.

La Moratti lo aveva scelto, si disse, per la temperante abitudine a contenere costi, decantata da Tronchetti Provera, soprattutto quelli attribuibili a dissipati dipendenti e maestranze o a dirigenti visionari, come se i tagli fossero manifestazioni dimostrative di quella moralizzazione e trasparenza utilissime in campagna elettorale. L’insuccesso della gestione della Moratti evidentemente non ha scalfito l’immagine di Sala. Probabilmente invece a sancito la sua qualità  di uomo giusto al posto giusto per creare condizioni favorevoli a quell’intreccio, a quella combinazione tra affari, politica, pubblica amministrazione che offre le migliori opportunità in occasione di grandi eventi,  grandi emergenze, grandi opere.

D’altra parte Letta l’aveva detto in visita a Milano: l’Europa è piccola, la gente mormora, non facciamoci riconoscere, organizziamo questa grande kermesse dell’effimero come banco di prova del ritorno italiano alla normalità della crescita e della competitività. E stiamo freschi, allora. La scelta è perfetta per lo spirito del tempo, imperniato sulle grandi opere anziché sulla manutenzione del territorio, sulle svendite al posto delle valorizzazioni, sulla visibilità e l’esibizione al posto della reputazione. Non è certo questo il new deal che servirebbe al Paese, quello nel quale uno stato, per uscire dalla crisi,  si fa promotore di azioni di risanamento e di ricostruzione dell’ambiente, del welfare e del sistema produttivo, dando lavoro qualificato e riparando a antiche e crudeli disuguaglianze nel godimento dei beni comuni.

L’unico gesto positivo che si può attribuire al governo Monti è quello di averci sottratto a delle inutili Olimpiadi, quale che fosse il suo intento, magari solo quello di sottrarsi a pesanti e sgradite responsabilità della gestione di un evento complesso.

Ma il giovane Letta ancor più di lui, è assoldato da padroni esigenti, smaniosi di fare affari redditizi, mossi da una avidità tanto insaziabile che non può preoccuparsi di accoppiarsi con una criminalità sempre più sfrontata che sta facendo della Lombardia un terreno di scorrerie e dell’Italia in crisi, sempre più permeabile, una colonia da depredare.


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