Sabato scorso Iones mi ha regalato una piccola scatola di latta, stampa retrò.
Una scatola di latta regna sull'ultima pagina di spuma trasmessa a Luisa, la cui copia accovacciata tra scatole sorelle mi attendeva in una stanza in penombra del Museo Guatelli due anni fa per riportarmi al futuro.
Mi attirano soltanto i segreti.
Se mi trovo esposta al sole da troppo tempo mi faccio ombra con un grande cappello o almeno, con le due mani sopra le tempie mi faccio uno schermo e ricreo speziature di grigi.
Voluttà.
Faccio bollire l'acqua per sovvertire il movimento.
Anticipo la caduta a picco di un fiume dal proprio delta a un oceano nascosto, e in seguito, al sovrannaturale. Del vapore.
Le persone sono scatole: divine, ombreggiate di velluto rosso all'interno che proteggono con un trasandato pout-pourri di lastra metallica; coprono la sabbia di antiche sconfitte con drappeggiamenti di senso, bardature di finta sapienza quasi commovente.
Mia madre è uno scrigno.
Di fuori una stoffa ondulata d'altri tempi che si mantiene incredibilmente attuale, trascende dalla sua età.
Ton sur ton, screziature di beige, tortora e cammello.
Orlature d'argento opaco, discreto.
Una sagoma leggiadra, che starebbe bene posata su uno scrittoio dei primi del Novecento, accanto ai propri libri preferiti, sfogliati spesso, interrogati aprendo una pagina a caso con quella grande fiducia che si riserva a pochissimi umani.
Ha superato i settanta, mia madre, passando la maggior parte del tempo a occuparsi di altri e non di se stessa.
Quei pochi momenti di libertà anarchica, da puledra selvatica vissuti a vent'anni sono rimasti incastonati e distanziati, appesi ad un muro invisibile che a volte guardiamo insieme; dalla sua libertà di figlia minore mandata a comprare venti volte al giorno il carbone, il latte fresco, lo zucchero si è allontanata presto per una scelta precisa, per fondare un regno favorevole per il suo obbiettivo primario: crescere figli; e per accontentare con nonchalance molte fantasie di possesso dei suoi familiari - le fate come lei attirano spine, attirano cancellate.
Mia madre è uno scrigno.
Dietro quintali di giorni-griglie di mansioni domestiche, stirare, fare da mangiare, rassettare, organizzare il menàge, non sa neppure di sottrarre alla vista con pudore e signorilità il tulle ripiegato di una frivolezza di pregio che per chi se ne intende si chiama femminilità profonda; mia madre è una donna che mantiene l'interesse per ogni paesaggio, per viaggi che non si è permessa di compiere, per tutti i libri, per tutte le storie.
La sviscerata passione di parlare con lo sconosciuto che si incontra per strada, o durante l'attesa di un medico.
Il piacere di godersi ogni istante di una passeggiata fra ciuffi d'erba e alberi smagriti e vivi dentro la corteccia che aspettano tempi migliori.
Mia madre è uno scrigno.
Lo scrigno è una barca con un fondo di vetro trasparente, che naviga su fondali di luce.