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Tra il secchione antipatico(quello che non ti passerebbe un compito neanche offrendogli in caffè, tuttopreso dalla sindrome di competizione), quell’altro che fa lo snob in virtù diuna natural abilità che gli è capitata e che gli permette di “arrivarci prima”e la “massa” degli studenti per cui “dout des”, cultori del “volemose bene”, ci sarà una via di mezzo…
Chissà in quale di queste tre“categorie” rientra il ministro Martone, chissà se crede pure lui a quantoappena detto e soprattutto, chissà come riuscirà a facilitare la vita dimilioni di giovani italiani nella sua funzione di Sottosegretario con delegaalle politiche occupazionali giovanili.Se ricopri una certa carica, èchiaro che un’affermazione del tipo: “se a 28 anni non sei laureato sei sfigato”non può non creare strappo di capelli generalizzato (e strumentalizzato), anchese nel dirlo puoi metterci tutta la buona fede possibile. Forse intendeva giàsubito contestualizzarlo (come ha immediatamente replicato dopo i primi indicipuntati) o forse si è lasciato prendere dall’euforia di essere professoreordinario già alla tenera età di 29 anni (per quanto parta già da una buonabase familiare; metto le mani avanti e dico che, a differenza della facilevulgata, essere “figlio di” non è fatto riprovevole, certo che a parità dibravura personale avere una sicurezza economica alle spalle ti dà quel +1 intermini di scelta delle opportunità che si offrono); questo lo sapràintimamente lui. Quello che a noi interessa è fare una breve considerazione.Partiamo da una sana autocritica,giusto per non calarsi nella solita maschera da poveri giovani e studentivessati: di colleghi che se la prendono comoda ce ne sono eccome, vuoi perché“tanto a mamma/papà va anche bene così” (insomma, pigliatevela con le lacuneeducazionali in famiglia) o perché semplicemente mancano di talento naturale(non apro qui la parentesi per cui ritengo che l’università non debba essereper tutti, sennò finisco per essere più “odiato” di Martone, anche sefrancamente me ne infischio; la mia “discriminazione”, in ogni caso, sifonderebbe su un concetto meritocratico e non di censo o di precedenteformazione scolastica, così tranquillizzo gli animi) e quindi si trovano abarcamenarsi tra libri quando la voglia/capacità di apprendere è sempre loromancato. Forse per loro l’università è davvero sprecata, se intendiamo da unlato l’università come centro di eccellenza quale dovrebbe essere, e dall’altroun certo onere per la famiglia (beati loro che non si pongono questioni“etiche” del tipo: “dato il sacrificio che si fanno i miei, forse conviene dareil meglio”). Però siamo in democrazia e non mi pare che si possa andare adinfluire sulle aspirazioni/attitudini personali.Dall’altra però abbiamo unpanorama sociale a tratti desolante. Anzitutto, il prolungamento dell’etàpensionabile, che considerato l’innalzamento della speranza di vita va semprepiù in là verso i 70 anni; ma se i pensionamenti diminuiscono, non si liberanoposti di lavoro e, non potendoseli sempre inventare, mancano per i giovani.L’università, insomma, permette di mascherare, dilatando altrettanto nel tempo,l’alternativo stato di disoccupazione in cui verserebbero altrimenti tantigiovani (più o meno capaci).Vi sono poi quegli studenti chevorrebbero “essere in corso” ma la cui situazione socioeconomica proprio nonglielo permette. Sono studenti che debbono mantenersi gli studi lavorando,spesso presso datori di lavoro noncuranti di ciò, o lavoratori che intendonoqualificarsi (riqualificarsi) per progredire di carriera. Avanti, chi puòrimproverare qualcosa a loro? Purtroppo, per questi soggetti,si avverte sempre più come troppo spesso lo Stato faccia diventare il dirittoallo studio un privilegio; e come nei privilegi, non è detto che chi può e chiprevale sia effettivamente chi lo meriti. Proprio in considerazione di ciòriprendo quanto sopra accennato circa la mia visione dell’università comecentro di eccellenza: relativamente pochi ma buoni su cui investire. L’accessolibero (in senso largo inteso) fa sì che ci sia una massa e non una popolazioneuniversitaria; una massa si amministra (più o meno bene), una popolazione sisegue passo dopo passo, si “stipendia” pure per tutto il percorso di studi, inmodo da compensare carenze personali. Purtroppo troppo poco interessal’università come sinonimo di sviluppo, e molto come bacino elettorale. Altro punto su cui la politicadovrebbe intervenire è ricreare un clima di etica socioeconomica per cui nessunlavoro vale meno dell’altro in termini di dignità se teso verso un bene comune;in tal modo tanti non disdegnerebbero certe occupazioni (settore primario esecondario) scaldando banchi universitari che tanto non onorerebbero a dovere eche invece vengono lasciate aperte all’altrui sfruttamento (fasce deboli, immigrati)o alla sovra domanda di lavoro/sotto occupazione di quegli stessi settori, conripercussioni di produzione nazionale.
Stefano Beccardi
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