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Se c'è una cosa veramente importante che la nuova trasmissione di Michele Santoro ha prodotto, è quella di aver riproposto come tema di discussione, più degli stessi affrontati nel programma, la natura dell'Auditel, il sistema di rilevamento degli ascolti televisivi, del suo funzionamento e sull'attendibilità dei suoi dati.
Già dalla messa in onda della prima puntata s'era capito quanto fosse difficoltoso per l'Auditel conteggiare i telespettatori di Servizio Pubblico, sparsi tra canali analogici, digitali, satellitari e web, tanto che i dati sugli ascolti venivano ogni Venerdì diffusi in ritardo, tranne che questa settimana, che non sono stati proprio diffusi.
Una dimostrazione lampante di incapacità di perseguire il fine per il quale si è stati creati dovrebbe portare ad un ripensamento totale del modo di rilevare gli ascolti televisivi, anche perché sulla società in questione di dubbi ce ne sono stati sempre tanti e certamente molto ben fondati, ma come sempre ci si scontrerà anche in questo caso con il grande problema di questo paese, l'immobilismo legato alle rendite di posizione che si sono formate nei decenni e che sembrano resistere a tutti gli attacchi e all'usura del tempo, condannando l'Italia al declino.
Ma a parte le rilevazioni mancanti, Santoro ha dimostrato con la sua trasmissione che lo spazio per fare una televisione diversa, almeno sul piano tecnico, c'era e c'è, se solo si volesse tentare qualcosa di nuovo. Invece anche coloro che la televisione la fanno preferiscono andare sul sicuro, ovvero ricevere i lauti ingaggi delle televisioni tradizionali, soprattutto quelli della Rai, l'ente quasi pubblico che ha allattato negli anni migliaia di personaggi più o meno meritevoli.
Da qui anche la critica dello stesso Santoro a quanti "non lo hanno seguito", non partecipando alla nuova trasmissione neanche come ospiti, mentre facevano la ressa per apparire in quelle trasmesse dalla Rai, e trasmigrare invece su La7, dove ad attenderli ci sono i soldi di Telecom Italia.
Ma se il sistema di trasmissione usato da Santoro è nuovo, non lo è il suo programma, che ricalca quelli già visti e rivisti negli anni passati, da Samarcanda a AnnoZero, con l'unica novità delle cosiddette "docufiction", già introdotte nell'ultima stagione di AnnoZero, che personalmente trovo insopportabili, oltre che inutili, specialmente quando gli attori che leggono le intercettazioni telefoniche tentano di rendere i diversi accenti regionali, con effetti tra il ridicolo e il drammatico.
Sempre gli stessi anche gli ospiti, che ripropongono esattamente gli stessi interventi da decenni, su questioni in piedi da decenni e che tutti conoscono, tutti sanno come affrontare, ma che mai nessuno riesce a risolvere.
Non è mancato Giovedì l'intervento di una super star dell'indignazione continua come il dottor Gino Strada, che da uomo laico e pragmatico ha semplicemente richiesti un miracolo per realizzare immediatamente un mondo dove tutti possano vivere in pace e tranquillità, senza guerre e malattie, nel quale il lupo e l'agnello possano dormire insieme etc etc.
Il pericolo che questo tipo di trasmissioni, oltre che fare da palcoscenico a tribuni e demagoghi di ogni specie, abitui il pubblico alle denunce sulle cose che non vanno, ma non ad agire per fare in modo che vadano meglio, è fortissimo, anche perché le informazioni date sono in genere molto parziali e incapaci di dare il completo panorama di problemi che sono molto più complessi di come appaiono nelle tre ore della trasmissione santoriana, un tempo lunghissimo e spesso sprecato e forse utilizzato solo per raccogliere pubblicità il più possibile.
Il rischio concreto di formare un pubblico che crede di essere pienamente informato, quando non lo è, e di portarlo a sostenere le decisioni che piacciono agli autori di queste trasmissioni è fortissimo e magari pure voluto. Del resto il maggior rischio della democrazia è quello di affidare le decisioni su questioni complesse alla moltitudine che ne ignora la natura, come spesso è avvenuto coi referendum.
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