I conflitti tra genitori e figli, la difficoltà dell’essere padre e gli impietosi giudizi di coloro che sono nati prima verso chi è nato dopo sono questioni che si ripresentano ogni volta che due generazioni – quella dei “giovani” e quella dei “vecchi”, tanto per usare uno stereotipo – si trovano a confronto. Sono questi i temi affrontati da Michele Serra nel suo ultimo libro Gli sdraiati, pubblicato da Feltrinelli lo scorso novembre. Gli “sdraiati” del titolo non sono altro che i teenager di oggi: ragazzi che calpestano il mondo con scarpe extralarge, resi sordi dalla musica che gli scorre costantemente nelle orecchie, sempre connessi grazie a smartphone, social network e instant messaging. Giovani multitasking capaci di fare compiti, chattare, guardare la TV e ascoltare musica allo stesso tempo (ma sempre rigorosamente in posizione orizzontale, preferibilmente sul divano di casa). L’autore delinea i tratti di una generazione descrivendo il figlio diciottenne, il quale sembra incarnare fin troppo fedelmente lo stereotipo dell’adolescente del nuovo millennio: nativo digitale, tatuato, scarpe da ginnastiche di ordinanza, troppe sigarette e una generale indifferenza verso tutto ciò che esula dal suo mondo. Non so se Serra abbia calcato troppo la mano o se il ragazzo sia proprio così come viene descritto, ma è certo che quello che ne esce non è un ritratto molto lusinghiero: taciturno e insensibile agli stimoli esterni (a meno che non provengano da televisione, cellulare o altri congegni elettronici), sembra non provare il minimo interesse per gli sforzi fatti dal padre per instaurare una comunicazione. È un Michele Serra inedito quello che scopriamo in questo libro, per noi abituati a gustarci la sua ironia pungente nelle rubriche satiriche dei giornali, un uomo che racconta la tenerezza, le fragilità e le difficoltà dell’essere papà, un uomo che racconta qualcosa che può essere riassunto nella sintetica definizione di genitore data dallo stesso scrittore: «chi nel frattempo cerca di continuare a vivere».
Peccato che diverse volte il tono del libro sfumi pericolosamente dalla tenerezza al vittimismo e il lettore non possa esimersi dal provare compassione per il bistrattato padre. Che altro poi? Non molto purtroppo: una trama quasi inesistente, fatta di aneddoti più o meno imbarazzanti sulle abitudini del figlio e dei suoi coetanei, che si riassume nella constatazione che i giovani di oggi sono molto diversi da quelli di ieri. E che non c’è niente da fare. «È l’evoluzione della specie» come afferma criptico il figlio, in una delle poche battute che gli sono concesse. Gli sdraiati è un volume che si consuma in fretta, vi strapperà qualche sorriso e, se siete sentimentali, il suo finale vi farà anche scendere una lacrimuccia. Tuttavia, quello che narra Serra non è né più né meno quello che potrebbe raccontare qualsiasi genitore che abbia cresciuto un adolescente, condito con l’usuale ironia del giornalista romano. In sé il romanzo non è privo di arguti spunti di riflessione che però non vengono approfonditi a dovere e quindi si rimane ad un livello superficiale, scadendo un po’ nel banale. Leggendo le considerazioni di Michele Serra su una generazione poco attratta dagli ideali, che rifiuta il confronto e la contestazione per rinchiudersi in un mondo a parte, inaccessibile agli adulti, non ho potuto fare a meno di pensare a una celebre frase di Altan: «Questi giovani d’oggi non credono più a nulla: noi, alla loro età, eravamo pieni di delusioni».
In copertina: Michele Serra