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Mickey Rooney (1920-2014)

Creato il 07 aprile 2014 da Af68 @AntonioFalcone1
Mickey Rooney (Wikipedia)

Mickey Rooney (Wikipedia)

Ci lascia all’età di 93 anni l’attore americano Mickey Rooney (Joe Yule Jr. all’anagrafe, New York, 1920), morto la scorsa domenica, 6 aprile, nella sua abitazione ad Hollywood, ex “fanciullo prodigio” il cui eclettismo e la notevole dinamicità, in particolare combinazione con il fisico minuto, fecero sì che, almeno nel periodo di maggior fama, venisse scelto dalle grandi casi di produzione per rappresentare sullo schermo la gioventù statunitense del periodo (gli fu assegnato un Oscar “giovanile” al riguardo, nel’39, condiviso con Deanna Durbin, mentre nell’82 ricevette quello onorario), rappresentando una confluenza cinema- vita certo favorevole alla sua carriera, almeno sino alla fine degli anni Quaranta. Da qui in poi Rooney cercò di smarcarsi dall’immagine sopra descritta, volgendo verso ruoli più intensi, quando non drammatici, ma dovette adattarsi ad interpretazioni di secondo piano, per quanto sempre convincenti riguardo il livello recitativo (basterebbe citare, fra gli altri, The Bold and the Brave, ’56, La soglia dell’inferno, Lewis R. Foster, per il quale ricevette una nomination all’Oscar,o, soprattutto, Baby Face Nelson, ‘57, Faccia d’angelo, Don Siegel, nel ruolo del killer psicopatico Lester Gillis).

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Figlio di due attori di vaudeville, Rooney iniziò ad esibirsi sin da bambino insieme ai genitori in vari spettacoli, per poi approdare al cinema: all’inizio parti piuttosto marginali (Not to be trusted, ’26, Tom Buckingham; Orchids and Ermine, ’27, Alfred Santell), ed in seguito il ruolo da protagonista per una serie di cortometraggi incentrati sul personaggio di Mickey McGuire, nato in una serie a fumetti opera di Fontaine Fox, che interpretò dal 1927 al 1934, cui l’attore deve il nome d’arte (mutato poi in quello definitivo una volta che Fox gli vietò d’usarlo in altri film). Seguirono piccole parti in varie produzioni (come Manhattan melodrama, ’34, Le due strade, W.S. Van Dyke), anche se la svolta definitiva avvenne quando firmò un contratto con la Metro Goldwyn Mayer, che lo utilizzò ancora una volta in ruoli secondari, sino a quando il successo dell’interpretazione offerta da Rooney nei panni di Andy Hardy, classico teenager americano dell’epoca, nel film A Family Affair (Un affare di famiglia, ’37, George B. Seitz) non spinse la citata major a produrre una serie di film (sedici, sino al ’58, Andy Hardy Comes Home, Howard W. Coch, tentativo di riportare in auge una saga ormai in declino, interrotta nel ’46, dopo l’insuccesso di Love Laughs at Andy Hardy, Willis Goldbeck). Il nostro ragazzone, apparentemente poco avvezzo a convenzioni o regole ma in fondo giudizioso nel mettere sempre in atto “la cosa giusta”, era ormai divenuto mattatore assoluto.

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Dopo tante realizzazioni improntate sulla stessa linea, con qualche felice incursione, testimonianza della suddetta ecletticità, nel musical accanto a Judy Garland (Babes in Arms, ’39, che gli fruttò la prima nomination all’Oscar; Strike Up the Band, ’40; Babes on Broadway, ’41, tutti diretti da Busby Berkeley) e l’alternanza di parti più consistenti (come The Human Comedy, ’43, Clarence Brown, un’altra nomination all’Oscar), la stella del nostro iniziò ad offuscarsi.
Una serie d’insuccessi lo portò alla rescissione del contratto con la MGM, per approdare poi in televisione, dove il successo iniziò nuovamente ad arridergli (The Mickey Rooney Show,’54-‘55). Tornato al cinema, come già scritto, si adattò a parti secondarie, ma riuscì a costruirsi una nuova immagine di valido caratterista, offrendo tutta la sua classe di attore consumato in ruoli sempre più complessi e in certo qual senso tormentati, alternati a commedie (da dimenticare il ruolo, abbastanza stereotipato, quasi da cartoon, del giapponese Yunioshi in Colazione da Tiffany, Breakfast at Tiffany’s’, 61, Blake Edwards).
Un’ultima interpretazione degna di nota Rooney l’ha delineata in The Black Stallion (1979, Black Stallion, Carroll Ballard, quarta nomination), anche se la sua attività proseguirà nel corso degli anni 2000 (ricordo con piacere il guardiano notturno de Una notte al museo, Night at the Museum, Shawn Levi, 2007), regalando al cinema una vitalità a tutta prova, quella propria di un tipico bravo ragazzo born in Usa , impertinente e sfrontato, ma sempre con la testa sulle spalle: “I’ve been working all my life, but it seems longer”.


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