“Tutti a Parigi vorrebbero essere attori e nessuno spettatore.” (Jean Cocteau)
Midnight in Paris. Bastano I suoi primi 2,08 minuti per essere già soddisfatti e non necessitare di andare oltre. Scorci di Parigi nella sua tenuta da giorno e da sera migliori.
Pioggia, viali grandi e folti. Non solo, un film che procede tra I luoghi comuni della giovane coppia Americana e dei genitori di lei, degli amici finto-intellettuali e snob, e del desiderio di Owen Wilson di giocare a fare il Bohemien, nella città culla dell’incrocio di arte e dolce abbandono.
Woody Allen e il suo omaggio a una Parigi che è solita eliminare incerte emozioni, che rapisce o disturba con medesima intensità sensoriale. Un film che senti tuo, in cui riconosci la fotografia e lo spirito che albergano.
Il più grande crimine che si può consumare, quando si tratta di un film di Woody Allen, è raccontare la trama di un film di Woody Allen, quindi bisogna procedere con cura e rivelare il necessario.
Quando si parla dell’uomo, dell’artista, del cineasta, del camaleontico essere che è appunto Woody, a tutti o quasi vengono in mente frame dei suoi tanti film, pezzetti di pellicola immortalati nei 1.04 o 2.69 minuti dei video youtubizzati, messi lì per celebrare quello che molti considerano tra i nuovi geni moderni.
Woody divide, crea aspettative, qualche volta le manca e le delude, ma è innegabile che non si possa prescindere dal guardarlo, farsi incuriosire, metterlo alla prova, dargli fiducia.
La sua ultima opera si snoda in una Parigi splendidamente rappresentata nei primi 3 minuti del film. Uno scorrere di immagini supportate dalla calda e grammofonica musica di quel tal Cole Porter che girava molto negli anni 20, millenni fa in pratica.
Una città strana Parigi. Amatissima e stucchevole, ridondante di bellezza ma altrettanto fredda come le peggiori delle amanti desiderate.
Un cast brillante, in cui tengono parte attori alla ricerca di una nuova verginità (vedi Owen Wilson, che ci ha abituato a commedie leggere,fin troppo) con grandi interpreti noti o meno noti, in un alternarsi frenetico ma efficace.
Un po’ favola, un po’ i consueti capisaldi alla Allen, complessi virili, ipocondrie, balbettii e difficoltà generali a relazionarsi con una realtà parigino-statunitense farcita di umanità edulcorate e surreali, salti nel tempo, camminate notturne, genitori ingombranti.
Guardare un passato ammaliante, frivolo, alcolico, con fortissimi spinte intellettuali che prendono forma con una naturalezza e un agio sorprendenti, se visti con l’occhio di chi non si sfama più di musica e parole, ma anche un manifesto che invoca il presente, una chiusa agrodolce che rivendica il vivere il nostro tempo, che invita a seguire le passioni e ciò che realmente alberga dentro ognuno di noi, con gli occhi dell’oggi e del domani, nessuna scusa, nessun tuffo in un mondo che non mastica il sapore del quotidiano.
Svegliarsi ma mantenere i sogni incollati sul calendario che segna i nostri giorni, e scegliere, ma sul serio, con chi condividere tutto quello che resta, seguitare le proprie inclinazioni e non lasciarsi ingannare da coloro con cui si scambiano affinità ridotte alla “passione per il pane arabo.”
L’ultimo Woody è tutto questo e, come di consueto, tutto quello che ogni occhio che si accinge e si accosta alla sua pellicola decide di cogliere. Un esercizio per pensatori distratti e confusi, una conferma per tutti quelli che allo scoccare della mezzanotte non attendono l’auto che li porterà nel passato che attira, ma stringeranno i viali di una serata di pioggia, nell’attesa che le cadenze giornaliere di una notte stellata rispondano da sé.
“Se sei abbastanza fortunato di aver vissuto a Parigi come un giovane uomo, allora per il resto della tua vita ovunque andrai, sarà con te, a Parigi è un continuo banchettare.” (E.Hemingway)