-Giovani allenatori contro-
Da una parte uno che pare diventato un modello per stare sopra un poster di un salone da barbiere anni’80; l’altro è diventato brutto, e le foto di quello che ”potrebbe far l’attore” ritraggono ora un uomo la cui bellezza ha finito per essere inghiottita dai solchi delle sue rughe preoccupate. Potere del calcio… e tra una settimana si va in scena tutti, belli e brutti.
Partiamo dal favorito: per legame abiurato -quindi orgogliosamente incattivito- e per il rispetto dovuto al tecnico dei Campioni del Mondo per Club in carica, è Leonardo.
"Esteban, per favore... pettinati!"
Mister De Araujo può preparare la squadra al derby nelle condizioni ideali per farla lavorare sul suo calcio: quelle che poggiano sulla scia di positività di tutto l’ambiente che ha intorno, senza se e senza ma, sin dal primo giorno del suo insediamento ad Appiano Gentile. Un gruppo facile da gestire: basta maneggiarlo con cura, non spostando equilibri che Benitez aveva osato mettere in discussione e che, rotti, han fatto cadere lui, non certo i senatori. Quando si dice “quando c’è la fiducia…”
Al centro del calcio Leonardiano, le distanze: esasperate, dilatate, estreme. L’innovazione del calcio di Leonardo deriva dal ribaltamento del concetto di spazio Sacchiano; la sua efficacia dal talento e dall’adesione dei suoi interpreti. La partita dovrà essere preferibilmente giocata lunga su 70 metri: innescata sull’ampiezza delle due mezzepunte esterne; dall’intelligenza di Sneijder di giocare la palla tra le linee, dall’intelligenza di Eto’ò di saper attaccare ora al centro ora largo. E’ nello spazio che il raddoppio è vanificato e nell’1 vs 1 è più facile che vincano loro che i loro diretti avversari, no?
L’abitudine alle grandi sfide l’Inter se l’è costruita prima del suo arrivo: la parte lasciata all’autogestione è in buone mani -mani capaci a maneggiare spiedi d’Asado grani così-, è opportunità per sviluppare il proprio lavoro, non solo una responsabilità più lieve e differente determinata da un’investitura urbi et orbi del presidente.
Il tecnico Brasiliano ha niente da perdere, è l’uomo giusto nel posto giusto finché non ci sarà da ricostruire un gruppo nuovo al termine del suo percorso, che si chiuderà come si è aperto, mal che vada: con una scrivania pronta ad accoglierlo fra tanti sorrisi più o meno brillanti.
Il tecnico Livornese ha dovuto svolgere un lavoro opposto. Presa una squadra che si era incistata nel solco di un ciclo ed un’idea tecnica non più efficace -privata dei sui assi portanti-, ha dovuto tracciare una nuova via sul campo, sulla fiducia che una rosa come quella del Milan poteva avere per un esordiente ad alto livello.
"Meglio se mi do un pò di Nivea anti-rughe, eh?"
Con una rosa a disposizione ancora per buona parte “zavorrata” da giocatori buoni per un altro tipo di calcio, a parte i Campioni Universali (Thiago Silva, Ibrahimovic), sono due “i “suoi uomini”: uno arrivato per sovra-prezzo, Robinho; l’altro voluto, Boateng. Difficile scardinare in pochi mesi il concetto di palleggio divenuto inutile senza un Kakà a renderlo profondo ed efficace, senza dover per forza esasperarne i termini: i risultati, il primo posto… tutto e subito, Ibrahimovic la scorciatoia, per far dire alla squadra “Ah, ma allora può funzionare anche come dice ‘sto qua!”
Questo non è ancora il suo Milan, pare piuttosto evidente: lo sarà se la volontà di sfoltire la rosa e di ridurre drasticamente il numero degli over 30 -12 in rosa-, verrà rispettata dalla società (scommettiamo di sì, e non solo per questioni tecniche). Quanto sarà determinante il risultato finale per assecondare un numero ragionevole delle sue richieste, lo scopriremo la prossima estate.
Qualcuno l’ha notato: dove si è rifugiata la squadra nel momento di “bassa”? Nelle vecchie, confortanti, trame di gioco: la coperta di Linus di un Milan che fatica a scrollarsi di dosso la polvere del suo recente e ben glorioso passato. Il Milan deve risvegliarsi e tornare a dare di più: quel di più che -oggi pare fantascienza-, ha già mostrato sul campo e non nelle nostre fantasie.
Una maggior verticalizzazione in costruzione; una squadra che difende più alta, che non fa circolare la palla sui 16 m.; una maggiore attenzione al pressing e inserimenti coordinati dei centrocampisti; punte che non diano riferimenti fissi alle difese e che loro per prime inizaino a difendere “presto”. Allegri dovrà saper scuotere la squadra, ridarle fiducia e saper essere molto convincente.
Il Milan non rischia di perdere lo scudetto “e basta”, ma pure l’occasione di rilanciarsi in un progetto che abbia come base una continuità nella guida tecnica dopo il salto nel vuoto dell’anno scorso. Nel Grande Circo del Calcio, ricco di maghi, maghetti e mangiafuoco, potrebbe avere senso dare fiducia ad una persona”normale”.