di Elisabetta Rubini. Stamattina sono uscita a piedi, nella zona Magenta-Sant’Ambrogio, per andare in ufficio e mi sono trovata in uno scenario di guerra: elicotteri che sorvolano la città a bassa quota, decine di camionette della polizia, centinaia di agenti con caschi e scudi appostati nelle strade, vie bloccate e deserte, nessun mezzo di superficie circolante. Cosa succede? Mi avvio, sempre a piedi, verso il centro: il clima di emergenza peggiora, negozianti sulle porte dei negozi, cittadini che si guardano intorno sbalorditi. All’imbocco di via Meravigli, grossi automezzi azzurri della polizia fermi, vigili che sbarrano il passo; procedo, mezzo arrabbiata e mezzo incuriosita e finalmente incontro la causa di tanto allarme: un corteo di studenti avanza - molto lentamente - lungo la via Meravigli, che riempie a malapena. Risalgo il corteo e mi guardo intorno: qualche centinaio di ragazzini delle scuole medie superiori, parecchi molto giovani, moltissime ragazze. Slogan, un paio di megafoni, striscioni contro il ministro Profumo. Mi prende lo sconforto: per loro, costretti a sfilare in una città ostile, parata a guerra, che vistosamente li teme li considera una anomalia pericolosa. Ma soprattutto per noi adulti: che, impoveriti nel portafoglio e ancor più nell’anima, non solo non sappiamo accogliere le più che giustificate richieste e proteste di chi ha oggi quindici o diciotto anni, ma addirittura le criminalizziamo, affidandone la repressione ad agenti armati.
Che vergogna, che miseria! Le manifestazioni degli studenti sono e devono essere degli eventi normali, fisiologici in una società democratica. Dobbiamo anzi essere contenti che i giovani - anziché rimanere rinchiusi nelle loro camerette attaccati ai computer - si facciano vedere e sentire nella città. E dobbiamo ascoltarli, e cercare di dare delle risposte ai problemi che pongono: la scuola pubblica, il futuro. Non voglio minimizzare il rischio che nelle manifestazioni si infiltrino iniziative distruttive, che vanno indubbiamente represse. Ma una società che ha tanta paura dei suoi giovani è una società fragile, ingenerosa, priva di visione sul proprio futuro. E questo non è degno di Milano.
Magazine Politica Italia
di Elisabetta Rubini. Stamattina sono uscita a piedi, nella zona Magenta-Sant’Ambrogio, per andare in ufficio e mi sono trovata in uno scenario di guerra: elicotteri che sorvolano la città a bassa quota, decine di camionette della polizia, centinaia di agenti con caschi e scudi appostati nelle strade, vie bloccate e deserte, nessun mezzo di superficie circolante. Cosa succede? Mi avvio, sempre a piedi, verso il centro: il clima di emergenza peggiora, negozianti sulle porte dei negozi, cittadini che si guardano intorno sbalorditi. All’imbocco di via Meravigli, grossi automezzi azzurri della polizia fermi, vigili che sbarrano il passo; procedo, mezzo arrabbiata e mezzo incuriosita e finalmente incontro la causa di tanto allarme: un corteo di studenti avanza - molto lentamente - lungo la via Meravigli, che riempie a malapena. Risalgo il corteo e mi guardo intorno: qualche centinaio di ragazzini delle scuole medie superiori, parecchi molto giovani, moltissime ragazze. Slogan, un paio di megafoni, striscioni contro il ministro Profumo. Mi prende lo sconforto: per loro, costretti a sfilare in una città ostile, parata a guerra, che vistosamente li teme li considera una anomalia pericolosa. Ma soprattutto per noi adulti: che, impoveriti nel portafoglio e ancor più nell’anima, non solo non sappiamo accogliere le più che giustificate richieste e proteste di chi ha oggi quindici o diciotto anni, ma addirittura le criminalizziamo, affidandone la repressione ad agenti armati.
Che vergogna, che miseria! Le manifestazioni degli studenti sono e devono essere degli eventi normali, fisiologici in una società democratica. Dobbiamo anzi essere contenti che i giovani - anziché rimanere rinchiusi nelle loro camerette attaccati ai computer - si facciano vedere e sentire nella città. E dobbiamo ascoltarli, e cercare di dare delle risposte ai problemi che pongono: la scuola pubblica, il futuro. Non voglio minimizzare il rischio che nelle manifestazioni si infiltrino iniziative distruttive, che vanno indubbiamente represse. Ma una società che ha tanta paura dei suoi giovani è una società fragile, ingenerosa, priva di visione sul proprio futuro. E questo non è degno di Milano.
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