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Francesco Cancellato
Black block in azione durante gli scontri di venerdì 1 maggio 2015, a Milano, in occasione del corteo May Day-No Expo (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Prima domanda. Erano poche centinaia di violenti in un corteo di decine di migliaia di persone arrivate a Milano per manifestare pacificamente, vero. Tuttavia, gli incappucciati che hanno rotto vetrine e incendiato automobili per un paio d'ore si sono presi tutto lo spazio mediatico possibile. Domani si parlerà di lavoro gratis, di precariato, di ogm, di tangenti e appalti e di tutte le sacrosante battaglie che il movimento No Expo porta avanti dal 2007, secondo voi? Peggio: No Expo nell'opinione pubblica è diventato sinonimo di imbecille e violento, magari con la faccia del ragazzino che di fronte alla telecamera ha candidamente ammesso che «è giusto così, c'è protesta, si fa bordello». Qualcuno, sui social network, già tira in ballo gli agenti provocatori e i soliti, triti, cui prodest. Chi è causa del suo male, - meglio: del suo velleitarismo - non può che piangere se stesso, però. Perché il corteo del May Day, considerando la congiunzione astrale in cui aveva luogo - primo maggio più expo - era privo di servizio d’ordine, come accade invece in qualunque corteo della Cgil? Perché ogni volta, dietro a ogni condanna delle violenze, c'è sempre quel “ma” di troppo, volto a distribuire responsabilità a media, istituzioni, multinazionali, nel malcelato tentativo di dirigere il dibattito altrove, quando invece basterebbe chinare il capo e ammettere che sì, anche questa volta i black bloc hanno rovinato tutto - come a Genova, come ovunque - e sì, dovrebbero essere loro il primo nemico che chi protesta dovrebbe combattere? Perché tanto timore e tanti distinguo - «cosa sono quattro macchine, contro la violenza delle multinazionali«, è la risposta tipo che si legge sui social network - nel marcare le distanze? O i black bloc sono avanguardie della rivoluzione, o sono nemici del popolo: non è così difficile. Tantomeno lo è per persone intelligenti e di certo non violente come i No Expo che abbiamo conosciuto noi.
Seconda domanda. Il bilancio dice 11 poliziotti feriti, una filiale di banca distrutta, decine di vetrine divelte, numerose automobili bruciate e ribaltate. Il tutto, nel contesto di un corteo il cui percorso è stato deciso da mesi - decisione opinabile, peraltro, vero prefetto, vero questore, vero Sindaco? - dopo le molotov e i bastoni trovati nei giorni scorsi. Un corteo, peraltro, in cui non era difficile prevedere disordini, vista la folgorante idea di inaugurare l'esposizione universale il giorno della festa dei lavoratori (o, alternativamente, di autorizzare un corteo così a rischio nonostante fosse il giorno dell’inaugurazione di Expo). Di fronte a tutto questo, come valutare un ministro dell'Interno come Angelino Alfano, che candidamente dichiara che «è stato evitato il peggio»? Oddio, sì, non ci sono stati scontri corpo a corpo tra polizia e manifestanti e la gestione dei medesimi da parte dei poliziotti è stata encomiabile per lucidità, rispetto, per dire, a Genova. Tremiamo tuttavia all'idea di cosa intenda Alfano quando pensa al peggio. O anche, all'idea che sia lui a dover tutelare l'Esposizione Universale milanese dal rischio attentati. Matteo Renzi, nel suo discorso all'inaugurazione ufficiale di Expo, ha detto che «oggi inizia l'Italia di domani». Nella nostra Italia di domani il ministro degli interni non si chiama Angelino Alfano. Nella sua, invece?
Fonte: Linkiesta.it
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