Scrivere della settimana della moda di Milano non è mai facile, tanto più quando si tratta di una review che abbraccia tutte le passerelle di questa delirante quattro giorni. (Ma non era una settimana? Ecco, appunto: era.)
Come si fa? Per scrivere di moda con cognizione e puntualità probabilmente non basterebbe nemmeno toccarli i capi, figuriamoci scrutarli da dietro un paio di lenti scure in prima fila con aria vagamente annoiata e men che meno visionarli dal freddo schermo di un computer. Quel che è certo, però, è che Milano Moda Uomo è molto omogenea in fatto di tendenze e stili: insomma, direte voi, visto uno-visti tutti? Non proprio, c’è qualche piacevole eccezione. A cominciare da Dolce&Gabbana, che finalmente lascia la Sicilia per spostarsi un tantinello più a sud: la Spagna, infatti, dà i natali al ragazzotto glamour della maison, stretto in boleri di broccato rosso fuoco abbinati ai tanto cari pantaloni tre quarti, ormai firma della griffe.
Il quid che accomuna tutti i brand, però, è il design pulito e minimale, fatto di linee essenziali e volumi ampi. Una tendenza, quella del rigore e del recidere il superfluo, che già da qualche anno era nell’aria, ma che alcuni continuano a rifuggire (si veda alla voce Versace, i cui sottogiacca color nude fasciano ancora i bei pettorali dei Big Jim che si susseguono velocemente sul catwalk, o alla voce Dsquared2, dove il pop in technicolor di shorts e camicie cucite sulla pelle la fanno ancora da padrone). E chi se non Jil Sander interpreta al meglio la filosofia del less is more? In attesa del debutto di Rodolfo Paglialunga alla direzione creativa il prossimo settembre, scrutiamo quest’uomo rigoroso e luminescente, il cui riverbero pastello ci riempie gli occhi di giallo, rosa, turchese e bianco e la cui pulizia formale non annoia. Spezza la monocromia il blu e qualche stampa di pantaloni e capospalla. Cotanta leggerezza è interrotta dal platform delle sneakers e dai carri armati dei sandali (onnipresenti trasversalmente in tutte le griffe), alti e massicci, a riaffermare una mascolinità vagamente nineties.
Una collezione, questa, che va a braccetto con quella di Calvin Klein Collection: Italo Zucchelli traccia l’identikit di un uomo giovane e fragile, vestito di nude e ricoperto di pullover in pvc. Un inno alla naturalezza, al design senza orpelli. Alla complessa semplicità di un design contemporaneo che non insegue la tendenza, ma la ingloba.
Sul fronte big giants, invece, tutto regolare. Se da una parte Frida Giannini fa sfilare un marinaio dall’allure rock, dall’altra Miuccia Prada porta in passerella la disciplina della sartoria, impressa sulle cuciture a vista dei pantaloni in denim e sulle tasche a contrasto delle giacche corte e dal taglio deciso. Si alternano in passerella anche le proposte della pre-collezione donna: un match ad incastro, un his and hers che si combina perfettamente. Un rigore morbido, come quello evocato da Stefano Pilati per Ermenegildo Zegna: se in casa Prada è la simmetria a farla da padrone, qui le spalle dei bomber vagamente retrò e dei lunghi trench richiamano l’ampiezza delle curve e tracciano una silhouette impeccabile.
Chiude il cerchio la rassicurante monotonia di Giorgio Armani: dove non si osa, si sta al sicuro. Dove c’è l’esperienza, c’è un uomo che fa dell’eleganza il suo biglietto da visita.
Tra le proposte più modaiole in senso stretto, le palm prints firmate MSGM potrebbero prendere il posto dell’anarchia alla moda di Moschino, che ha traslocato il suo uomo in quel di Londra. Al di là della noia delle palme e delle maxi stampe grafiche a contrasto, potrebbe essere questo il futuro di Milano: un ritorno alla festa che era, alle proposte giovani. Che non sempre coincidono con la ricercatezza di un design sconvolgente.
E sempre a proposito di giovani (o meglio, di proposte per i) vale la pena spezzare una lancia in favore dell’uomo No.21: Dell’Acqua riesce anche questa volta a costruire un’identità di brand definita, riconoscibile nel retrogusto teen che l’accompagna e nel gioco di lunghezze dei maglioncini e dei capospalla. Le felpe, firma del designer, sono la piacevole costante di un marchio che accomuna la qualità alla tendenza.
Gli antichi fasti della Milano che fu sono stati repentinamente messi da parte. Come un rasoio di Occam che suggerisce l’inutilità di formulare più ipotesi del necessario, questa fashion week ha dimostrato che si può parlare di moda raccontando qualcosa e non appigliandosi necessariamente al superfluo e all’inutilità della tendenza di stagione.
Andrea Pesaola