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Militare a Ragusa

Creato il 18 settembre 2010 da Paperoga

Militare a Ragusa

Mio padre avrebbe dovuto fare l’attore. Oppure meglio ancora, il truffatore, il ladro d’identità. O il bigamo.

Mio padre è un uomo tranquillo, sia chiaro. Ma nascosta nelle quotidiane posture, quasi levigate dal tempo che scorre, si nasconde ancora una vocazione all’istrionismo gigione, alla recita da avanspettacolo, alla più spudorata creazione di balle, frottole e storielle tutte impastate assieme per farti venire il mal di testa oppure farti arrossire di fronte agli ignari spettatori estranei che rimangono a bocca aperta di fronte ai formidabili eventi raccontati da questo improvvisato cantastorie.

Che fosse un fromboliere, un trasformista, un mistificatore, lo dovevo capire sin da bambino, quando avevo 8 anni e ci venne a trovare la Befana in persona. A noi cuginetti ci avvertirono giorni prima, e non vedevamo l’ora. Il 5 gennaio, di sera, sarebbe arrivata la Befana niente di meno che a casa di mia nonna, per distribuire regali e calze piene di dolciumi. L’unico avvertimento, ripetutoci in modo minaccioso da mamme zie e nonna, era che la Befana non avrebbe proferito parola, perchè momentaneamente afona, nè per l’amor di dio bisognava toccarla o avvicinarsi troppo, perchè sarebbe scomparsa, puff, all’improvviso. Quando suonò al portone quella sera, dunque, eravamo emozionatissimi. Ci trovammo questa vecchietta col viso velato e semicoperto, ricolma di stracci, zoppicante e timorosa, e in silenzio seguendola rispettosi ci facemmo consegnare i regali, emozionati e orgogliosi di quel popò di privilegio.

Quando anni dopo venni a scoprire che la fantomatica Befana altro non era che quel sòla di mio padre, non ne fui troppo sorpreso. D’altronde, non era lui quello che entrava nei bar e chiedeva all’inserviente di turno un “Amaricatù”? Ovvero un amaro inesistente frutto della sua fantasia, che metteva in crisi anche il più scafato dei baristi: “non ce l’abbiamo“, diceva il più prudente; “mi spiace l’abbiamo finito” chiosava il più spudorato; “ma di quale cazzo di amaro sta parlando?”, tuonava il più sveglio.

E poi, era o non era mio padre quello che si fingeva straniero nei ristoranti e stordiva i camerieri con richieste misteriose?Chiamava il garçon, e spazientito sbottava con un”Gani muscia and sbat marakan?”, lasciando nel panico il povero ragazzetto fresco fresco di istituto alberghiero, che si guardava intorno allentandosi il colletto, dubbioso se portare il conto, il menù o indicare dov’era il bagno degli uomini.

Ma, sopratutto, è o non è mio padre colui che ancora millanta di aver fatto il militare a Ragusa?

Questa palla la rifila a chiunque gli capiti a tiro. Ma, cosa ancor più grave, continua a rifilarla a noi che sappiamo benissimo che lui il militare non l’ha fatto manco per un giorno. Eppure ci prova sempre, a costruirsi una fedina militare gloriosa di fronte ai gonzi che crede di avere davanti. Durissime esercitazioni nell’assolata terra sicula, guardie notturne fino all’alba, goliardate da branda. Tutto questo per un anno di cui mio padre va fierissimo, disprezzando invece noi figli che al militare siamo stati riformati come se fossimo pecore nere della gloriosa tradizione militare della famiglia.

Non è stato difficile sgamare che erano tutte palle, una domanda alla mamma, una alla nonna,e già all’età di dieci anni sapevo che mio padre era un pallonaro e che in vita sua aveva al massimo usato una pistola ad acqua. Eppure, ufficialmente, non l’ha mai ammesso. Ancora oggi, quando quelle poche volte all’anno la famiglia è riunita a tavola, ed esce ancora il discorso su quel misterioso anno passato a marciare in Sicilia, mio padre è inflessibilmente spudorato.

Allora, papà, com’era Ragusa?”

“Bella, bellissima, nu babà, una bomboniera”.

“Ad esempio, cosa c’è da vedere?”

Beh..ehm, c’era Piazza del…del Popolo….via Garibaldi, le colonne greche…

Le colonne greche?”

Si, ci stanno queste colonne in fondo ad una via, come le colonne romane a Brindisi alla fine della via Appia, hai presente? Beh, queste sono uguali solo che sono greche….

“(cristo..) Poi, cos’altro c’è da vedere?”

Ah…beh, c’è il porto vecchio, bellissimo…

Papà, Ragusa non è sul mare…

Ah..si, ma prima lo era! Hai presente Ravenna? Ecco, uguale, prima era sul mare, per questo lo chiamano porto VECCHIO!

E lì non sai se abbracciarlo o mandarlo affanculo.

Ma oggi lo abbracciamo. Perchè questo vecchio istrione mi ha compiuto gli anni, e si tratta di un genetliaco di quelli pesanti. E lo abbracciamo, io come Copeland e come Pfaff, anche perchè grazie anche alle sue trovate geniali, alle sue storie inventate, al suo nascondersi per farsi trovare dai figli quando rientrava la sera da lavoro, per quanto stanco fosse, alle mie feste di compleanno degli 8 anni da lui organizzate  per filo e per segno dai festoni ai giochi, ai pacchetti di figurine panini che faceva trovare sotto il cuscino o nella cartella per andare a scuola, grazie a tutto questo e a non sapete quanto altro ancora, io ho avuto un’infanzia meravigliosa, magica, che ogni bimbo dovrebbe vivere e assaporare.

E quindi auguroni, formidabile attore. E mostrami quel sorriso qualche volta di più. Chè mi emoziona ancora.


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