Mille anni che sto qui fa rima con Cent’anni di solitudine, e la comune indicazione numerica non c’entra: piuttosto, è la storia della famiglia Falcone del piccolo paese lucano di Grottole a dare l’impressione di avere fra le mani un testo simile – ma solo per alcuni aspetti – al capolavoro dello scrittore colombiano. Sì, perché, pur essendo latente il realismo magico di cui si serve Márquez per raccontare le mirabolanti avventure dei Buendía e del fantastico villaggio di Macondo, non è assente un’eguale intensità narrativa, una sottile ironia e la grande, grandissima dote di “creatrice” di Mariolina Venezia, capace di raccontare un’intricata storia lunga più di un secolo, fitta di personaggi, comparse, apparizioni, vicende, sottovicende, leggende, eventi-lampo, non slegati dalla storia nazionale (ed è questo il valore aggiunto del Cent’anni di solitudine italiano).
Il capostipite dei Falcone è Don Francesco, che, dopo un matrimonio combinato finito male, accoglie nella sua aristocratica dimora Concetta, figlia del popolo, della quale si era invaghito quando lui era ancora un marito infelice e lei stava sbocciando. Da bravo uomo di rispetto dell’epoca, la riempie continuamente di minacce: se la settima gravidanza si risolverà in un ennesimo fallimento (leggi: se darà ancora alla luce un’altra femmina e non il tanto bramato maschio), la caccerà di casa; in caso contrario, la sposerà. Nel 1861, mentre i patrioti combattono per il loro ideale d’Unità, nasce Oreste. Ma il destino della famiglia Falcone è tutto nelle mani delle donne, ciascuna unica a modo suo: Concetta è tenace, Costanza autonoma, Albina invidiosa, Candida dolce ma determinata, Alba esigente e Gioia… be’, Gioia chiude il cerchio: è moderna. Donne assolutamente diverse l’una dall’altra, ma che finiscono con l’assomigliare in maniera impressionante nell’età matura: sono tutte mogli e madri, ed è come se in quella condizione perdano l’autenticità che possedevano ancora fanciulle.
I Falcone attraversano un secolo, e quindi l’Unità d’Italia, le guerre, fascismo e comunismo, le utopie del ’68, gli anni di piombo, la caduta degli ideali e del muro, vivendo i cambiamenti epocali nella cornice del Sud Italia, nello stretto cerchio del nucleo familiare, non esente, tuttavia, dai contraccolpi della storia: le nascite e le morti, le storie d’amore, le fughe, le amicizie, le gelosie, le emigrazioni, la decadenza, la povertà e il riscatto sono attraversati dall’eco delle vicende nazionali che si ripercuotono inesorabilmente sulle storie personali. La penna giustamente vincitrice del Campiello 2007 di Mariolina Venezia racconta questo secolo controverso e questa bislacca famiglia meridionale mantenendo costantemente vivo l’interesse del lettore, anche quando, nell’ultima parte del romanzo, la sua vena fantasiosa si inaridisce (o forse la storia recente offre meno spunti creativi?) e la narrazione perde quella verve iniziale che fa di questo romanzo un vero gioiello.
Angela Liuzzi
Mariolina Venezia, Mille anni che sto qui, Einaudi, 15 euro