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Minatori turchi, la faccia sporca della realtà

Da Brunougolini

Minatori turchi, la faccia sporca della realtà
Guardo queste foto allucinanti di operai che portano in braccio altri operai. Uno per volta. Oltre 200 volte. Sono minatori. In Turchia. Non è un film in bianco e nero. Non siamo nel 1800. Non siamo nemmeno nel 1956 a Marcinelle, in Belgio, quando toccò a 262 minatori in gran parte italiani, lasciarci la pelle. Siamo nel maggio del 2014. Guardo e non posso non pensare a quanti disquisiscono sulla fine del lavoro manuale, sulla fine del lavoro umile e malpagato. Nonché sull’epoca nuova, ormai affermata, dove tutti stanno in camice bianco manovrando infinite, lucenti tecnologie. Quelle foto scattate oggi, invece, come altre, nel susseguirsi delle morti chiamate, non si sa perché, “bianche”, anche in Italia, mostrano la faccia sporca di un'altra realtà.
Bisogna morire per poter apparire, per poter mostrare al mondo le stigmate di un’esistenza amara.

Scopriamo così che esistono ancora le miniere. Così come ieri abbiamo scoperto che a Prato donne e bambini vivevano ammassati e bruciati vivi. Cosi come eguale sorte spettava agli operai italiani della moderna fabbrica Tyssen di Torino. Sarebbe necessario individuare negli oggetti che usiamo tutti i giorni e che adornano il nostro malconcio benessere, il lavoro che tali oggetti comprendono. Un lavoro che spesso si compie altrove e magari a volte può partire anche dalle miniere della Turchia.
Sarebbe necessario usare occhiali nuovi, ricomporre il mondo del lavoro in tutte le sue sfaccettature. Magari cominciando dalle vittime, mettendo in questa panoramica estesa le stesse centinaia di donne, uomini e bambini in cerca di un lavoro in occidente e che ancora ieri hanno trovato la tomba nelle acque del nostro mare. E non basta cercare accanitamente il colpevole, gridare alla bestialità ieri dell’avido capitalismo oggi di una globalizzazione che tutto sconquassa. Occorrerebbe ribellarsi ed agire qui e ora. Certo in quelle miniere turche, si comincia così a scrivere, c’erano condizioni speciali, irripetibili. Ma perché, se questo è vero, si sono potute mantenere tali condizioni disumane, cagione oggi della grande strage? Vien voglia di chiedersi se forse non sarebbe stata necessaria una presenza organizzata, una capacità di quei minatori di unirsi e rivendicare interventi. E’ quello che un tempo, al suo sorgere, si chiamava in America “Union”, in Italia sindacato. Ovvero quel soggetto che oggi, anche dalle nostre modernissime parti, si considera come qualcosa di arcaico, un caro ricordo del passato...
Sarebbe bene che ciascuno si specchiasse in quelle foto. A me torna in mente un antico film con John Ford “Come era verde la mia valle”, dedicato ai minatori. E riemergono le parole di un decano della chiesa che nel film ricorda Papa Francesco. Diceva: “Perché voi che siete eletti pastori del gregge permettete che le vostre pecore vivano in sporcizia e povertà, e se protestano contro questo stato di cose le calmate dicendo che soffrono per il volere di Dio? Pecore, pecore da tosare secondo la volontà di pochi padroni. Avevo imparato che l'uomo fú creato a immagine di Dio, non d'una pecora”.
Bruno Ugolini

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