Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki con André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin Commedia, 93 min., Finlandia, Francia, Germania, 2011
Dopo Philippe Lioret (Welcome, 2009) e Emanuele Crialese (Terraferma, 2011), anche Aki Kaurismäki si misura con il tema dell’immigrazione. La materia trattata dai tre registi è dunque la stessa, gli approdi assolutamente diversi. Quello dell’italiano è sicuramente il film meno riuscito: molta retorica, attori non sempre nella parte, facili sentimentalismi. Quello di Lioret è un capolavoro di sobrietà. Il film del maestro finlandese è invece tanto particolare quanto riuscito.
Innanzitutto Kaurismäki ha uno stile inconfondibile: colori pastello, scene da teatro di posa, dialoghi quasi da teatro dell’assurdo. Ma d’assurdo nel suo film ce n’è ben poco.
Il protagonista è l’umile lustrascarpe Marcel Marx che vive con l’amata moglie Arletty e la furbissima cagnolina Laika. Un giorno due avvenimenti sconvolgono la sua modesta ma serena vita: il ricovero in ospedale della moglie a causa di una grave malattia; l’incontro con Idrissa, ragazzino immigrato dall’Africa arrivato in Francia in un container e sfuggito alla polizia. Tra una visita una visita all’ospedale e quella successiva, Marcel si prodiga per aiutare Idrissa a superare la Manica al fine di raggiungere la madre in Inghilterra. Lo aiutano i vicini di casa – la fornaia, il fruttivendolo, la barista – e, inaspettatamente, un detective della polizia professionale ma non integerrimo. Riuscirà Idrissa a raggiungere la sua destinazione? Quale sarà il futuro della moglie di Marcel?
La storia è stata concepita come una fiaba: Le Havre potrebbe essere qualsiasi cittadina di mare; i personaggi non sono caratterizzati psicologicamente ma proprio per questo si caratterizzano per un’intrinseca universalità; di retorica non ce n’è traccia (v. la condizione degli immigrati nel container). Senza contare che certi personaggi e certi dialoghi farebbero impallidire anche il Woody Allen più in forma. In poche parole il miglior Kaurismäki ha trovato la ricchezza nella povertà, il miracolo in un mondo impossibile che tuttavia si ispira (o addirittura rispecchia) quello reale. Finale struggente: un ciliegio in fiore.
P.s. Anche in questo film, come in This Must Be the Place di Paolo Sorrentino, c’è la scena di un concerto. Funzionale, simpatica, ben girata, non tediosa. Bravo Kaurismäki.
Voto: 8,5 su 10
(Film visionato il 30 novembre 2011)