Per ora è la telefonata di un anonimo. Voce maschile, pacata, di un adulto.Forse una persona anziana. Un misterioso personaggio che premette di non poter lasciare «né recapito né nome», ma che dimostra di essere perlomeno ben informato su alcuni passaggi oscuri che hanno segnato la scomparsa delle due ragazzine quindicenni, avvenuta a Roma nel 1983.
«Telefono a proposito dei sequestri di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, che sono opera della stessa mano», ha premesso il mister X, che ha poi parlato di «un’esca interna al Vaticano nel caso Gregori» mentre, per la vicenda Orlandi, ha fatto riferimento a «un informatore, sempre interno al Vaticano». Per saperne di più, ha proseguito, «basta rivedersi tutta la storia e soprattutto parlare con…». Stop. La telefonata si interrompe: il nome pronunciato non è stato mandato in onda. Ma tanto basta: sulla Vatican connection si aprono nuovi scenari. A 28 anni esatti dalla scomparsa di Mirella Gregori, la ragazzina che il 7 maggio 1983 uscì di casa dicendo alla madre che doveva incontrare un amichetto e non tornò mai più, la telefonata arrivata ieri sera alla trasmissione Chi l’ha visto? rilancia la cosiddetta «pista interna». Con una novità: l’anonimo, che ha annunciato altre comunicazioni in futuro, è statomolto esplicito nell’accomunare i due sequestri a un’unica matrice. Nel caso di Mirella ha parlato di un’«esca» nella Santa Sede e in quello di Emanuela (la figlia del messo pontificio sparita 46 giorni dopo, per la cui liberazione fu chiesta la scarcerazione dell’attentatore del papa) di un non meglio precisato «informatore». A chi si riferiva? La telefonata, effettuata da un apparecchio pubblico, da ieri è al vaglio della Squadra mobile. Gli investigatori diretti da Vittorio Rizzi intendono verificare la possibilità di risalire al punto di chiamata e anche, eventualmente, di riconoscere la voce con opportuni confronti. Poi c’è la questione del nome «schermato» in tv:secondo indiscrezioni, sarebbe quello di una persona apparsa negli anni ’90 in alcune fasi dell’inchiesta, che dimostrò «un approccio poco collaborativo»alle indagini.
Un ulteriore riscontro lo fornisce Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela:«All’epoca del sequestro la presenza di una talpa all’interno del Vaticano emerse in modo chiaro. Mio padre ne parlava spesso, un episodio lo colpì molto». Ercole Orlandi, il «postino» di papa Wojtyla, è morto nel 2004 senza essere riuscito a venire a capo dell’intrigo che si portò via Emanuela. Ora il testimone per la ricerca della verità è passato a lui, l’unico figlio maschio.«Mio padre – rivela Pietro Orlandi – fu pienamente consapevole della presenza di una spia in Vaticano nel luglio del 1983. Erano i giorni in cui l’Americano, il famoso telefonista mai identificato, aveva lanciato l’ultimatum per la scarcerazione di Alì Agca. Il giudice Domenico Sicaraggiunse gli uffici della Segreteria di Stato in incognito, sulla sua Fiat 500.Aveva deciso un blitz e il tentativo di intercettazione doveva restare segretissimo. La telefonata era prevista tra le 22 e le 23, ma al centralino del Vaticano non chiamava nessuno. Sica si trattenne nel Palazzo Apostolico fin quasi alla mezzanotte. Rinunciò, se ne andò. E, un quarto d’ora dopo, arrivò la beffa: l’Americano telefoò al cardinal Casaroli dicendogli di non fare i furbi, che questi trucchetti non gli piacevano. Evidentemente qualcuno era appostato». Come reagì Ercole? «Per papà fu terribile – risponde Pietro – Capì che non si poteva stare tranquilli neanche nella Città del papa e che la scomparsa di mia sorella era un affare moltopiù grande di noi».
Quanto all’ipotesi di un’«esca» sul caso Gregori, le uniche risultanze istruttorie emerse in 28 anni riguardano le dichiarazioni della madre di Mirella, che nell’85 affermò di aver riconosciuto in un addetto alla sicurezza del Papa, Raoul Bonarelli, una persona che si intratteneva spesso a parlare con sua figlia e con l’amica Sonia De Vito in un bar vicino casa loro, sulla Nomentana. La signora, al momento del riconoscimento, però ritrattò. Così come non ebbero esito gli accertamenti su Sonia De Vito, in un primo tempo accusata di reticenza. L’ipotesi della «congiunzione» tra i casi Gregori e Orlandi, comunque, si fonda anche su elementi obiettivi. Almeno due. Il primo è che sia Mirella sia Emanuela avevano avuto contatti con la società Avon per promuovere cosmetici (nella sua ultima telefonata a casa la piccola Orlandi disse di aver appena incontrato un rappresentante). Il secondo è che entrambe erano state ricevute da Giovanni Paolo II: Emanuela perché viveva in Vaticano e Mirella durante un’udienza papale con i suoi compagni dell’istituto Nathan (una foto della ragazza fu a lungo esposta nella bacheca dell’Osservatore Romano). Sono indizi sufficienti a «saldare» le due storie? Serviranno a dare impulso alle indagini? L’unica certezza, oggi come 28 anni fa, è che i familiari ci sperano. E continuano a battersi per la verità.
Fabrizio Peronaci
Corriere della Sera