Dal 12 al 18 Marzo scorsi si è svolta la settimana mondiale del cervello. Ho pensato quindi di parlarvi di una mia passione, che poi è anche il mio lavoro, e in particolare di una delle scoperte recenti che hanno colpito di più la fantasia degli addetti ai lavori, ma non solo.
I mirror neurons (neuroni specchio), individuati dapprima nelle scimmie, stanno finalmente chiarendo i meccanismi dell’apprendimento motorio. Facciamo un passo indietro: forse non tutti sanno che i neuroni sono la principale classe di cellule appartenenti al sistema nervoso, sia centrale (encefalo e midollo spinale) che periferico (i nervi); la loro peculiarità è la capacità di comunicare tra loro attraverso (molto) piccole scosse elettriche (nell’ordine dei milliVolt) che si propagano sotto forma di cosiddetti potenziali d’azione.
Aree coinvolte nel cervello del macaco
I neuroni-specchio sono una classe di neuroni localizzati a livello della corteccia cerebrale (la parte più “superficiale” del cervello), premotoria e del lobulo parietale inferiore ( rispettivamente, aree F5c e PFG: vedi figura “aree coinvolte nel cervello del macaco” ), che “scaricano” sia durante l’esecuzione di attività finalizzate (cioè, che abbiano l’intento di raggiungere un obiettivo: ad esempio, afferrare una mela che si trova sul tavolo proprio di fronte a me) sia durante l’osservazione di altri (umano o scimmia) che compiono lo stesso gesto. Questi neuroni sono sensibili sia alla direzione del movimento globale di una persona che ad alcuni spostamenti degli arti, e sono specifici per le diverse parti del corpo. Un dato curioso è che i movimenti della sola mano, la posizione degli oggetti o combinazioni di queste temporalmente o spazialmente incongruenti, producono solo una minima reazione corticale o addirittura nessuna. Tutto ciò potrebbe significare che la percezione di un’azione e la produzione della stessa non sono due processi cognitivi separati ma, al contrario, sono strettamente correlati.
Pare che un rudimentale sistema di neuroni specchio sia presente nell’uomo fin dalla nascita e sia in grado di elaborare i movimenti facciali: i neonati, ad esempio, già nei primi giorni di vita sono in grado di imitare espressioni del viso e movimenti della mano e riproducono tali movimenti più frequentemente di altri. Stiamo parlando della capacità di protrudere la lingua o le labbra oppure di aprire la bocca, quindi non provate ad insegnare ai vostri giovanissimi virgulti, nel caso ne abbiate, a fare l’occhiolino: quello lo impareranno un po’ più avanti. Inoltre, già a tre giorni di vita, i neonati sono in grado di associare determinati movimenti della bocca alla riproduzione di un suono appena sentito. Questi comportamenti scompaiono generalmente entro i sei mesi. La stessa cosa succede anche ad altri primati, come scimpanzé, macachi e scimmie rhesus.
Esiste un ulteriore sottogruppo di queste cellule nervose che si attiva in risposta al suono prodotto dalle azioni. Da alcuni studi è emerso inoltre che nei musicisti l’ascolto di un pezzo musicale attiva le stesse aree motorie e premotorie che si attiverebbero durante l’esecuzione attiva di quel brano.
Grimilde in fase di apprendimento
Anche il riconoscimento delle emozioni e l’empatia sembrano basarsi su un insieme di circuiti neurali che, per quanto differenti, condividono la stessa proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni. Alcuni studi sperimentali si sono dedicati alle emozioni primarie: quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto, in noi si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione, in prima persona, dello stesso tipo di emozione. Viceversa, nelle patologie neurologiche determinanti la perdita della capacità di provare emozioni, non si è più grado di riconoscerle anche quando sono espresse da altri. In ambito neuropsichiatrico, pare che un ridotto funzionamento di questo tipo di neuroni possa spiegare biologicamente la sindrome di Asperger, una forma di autismo cosiddetta “ad alto funzionamento”, cioè in cui il soggetto manifesta difficoltà di interazione sociale ma non importanti ritardi nello sviluppo del linguaggio o di altre funzioni cognitive. I neuroni specchio potrebbero aiutarci a comprendere perché le persone autistiche non interagiscono con gli altri: probabilmente non comprendono neppure le più comuni emozioni espresse dal volto e dagli atteggiamenti di coloro che li circondano e pertanto quello che per tutti è un sorriso, per loro potrebbe essere una semplice smorfia.
Avete mai provato a chiedervi quindi perchè quando vi mostrano un passo di danza riuscite a riprodurlo in modo forse non perfetto, ma accettabile, già la prima volta, riuscendo a stupirvi di voi stessi?! Complimentatevi con i vostri neuroni specchio! E se siete “legnosi”, beh…probabilmente i vostri avranno altre specializzazioni.