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Miseria, nobiltà e decoro urbano (parte 3)

Creato il 09 maggio 2012 da Davide

Nell’Italia degli sprechi sobri capita anche che a Treviso lo stato obblighi il Comune a spendere circa 200.000 euro per abbellire il tribunale con una statua. Nonostante il tribunale sia operativo da due decenni, l’edificio in realtà non può nemmeno completare il collaudo amministrativo perché è sprovvisto di statue, dipinti o altre opere d’arte che conferiscano pregio allo stabile, in base a una legge del 1949 che rende obbligatoria l’installazione delle opere d’arte che abbelliscano gli edifici pubblici e a uno stanziamento del Ministero della Giustizia dell’inizio degli anni 1990, che non può essere stornato su nessun altro, più urgente e sensato capitolo di spesa. Un tipico caso di obbligatorietà dell’azione decorosa ovvero di Implacabile Decoro Urbano.
Chissà, magari i legislatori del 1949 temevano che l’arte italiana non potesse fiorire senza che lo stato la finanziasse rendendola obbligatoria e che la vista di edifici pubblici spogli offendesse la sensibilità dell’occasionale flaneur.
Esiste una vasta letteratura sul flaneur e la flanerie, ma cercherò qui di farne un breve profilo. Gregory Shaya (The Flâneur, the Badaud, and the Making of a Mass Public in France, circa 1860–1910. The American Historical Review 109 (1) 2004) scrive che il flaneur è il parigino che assaggia i suoni e le vedute della città mentre passeggia senza meta, una figura comune del XIX secolo in ogni descrizione letteraria delle strade di Parigi. Il flaneur è l’uomo agiato che vaga per le strade in cerca di qualche soddisfazione per la sua sensibilità eccessiva, è un gastronomo urbano, un conoscitore, un artista. Come nota Janet Wolff (The Invisible Flâneuse. Women and the Literature of Modernity. Theory, Culture & Society November 1985 vol. 2 no. 3 37-46) se mai è esistita una flaneuse, è stata ignorata dagli scritti dei Baudelaire, Simmel, Benjamin e, più di recente, di Richard Sennett e Marshall Berman, che equiparano il moderno con il pubblico. In ambiente inglese il bighellone flaneur ha difficoltà a trovare il suo gemello; l’unico che può avvicinarsi è il dandy, un osservatore-partecipante della vita urbana che passeggia tenendo al guinzaglio una tartaruga, elogio della lentezza alla Slow Food, e critica della velocità, uniformità e anonimato della vita moderna. Il concetto di flâneur è presente nell’influente opera di Walter Benjamin, ricorre nelle discussioni accademiche sulla modernità, ed è diventato significativo anche in architettura ed urbanistica. Il marxista Benjamin descrive il flâneur come un prodotto della vita moderna e della rivoluzione industriale, appartenente ad un certo tipo di classe sociale, parallelo all’avvento del turista. Il suo flâneur è un borghese, un dilettante dotato, non coinvolto ma intelligente. Nella progettazione urbanistica il punto di vista elitario del flaneur è indispensabile per la costruzione del decoro urbano.
MacCannell, nel suo The Tourist: A New Theory of the Leisure Class, 1976, teorizzava che i turisti vanno alla ricerca di esperienze autentiche, una costante ricerca di significato, la versione moderna dell’interesse universale per il sacro. Flaneur ancora moderno, il turista cerca il ‘vero’, il ‘reale’, ‘l’autentico’ trovato nel “backstage delle vite degli altri”. E’ un viaggiatore erede del Grand Tour romantico, ed è disturbato dall’autenticità preconfezionata dell’industria turistica. Cohen, in Toward a sociology of international tourism, 1972, invece, sosteneva che la ricerca della novità e della diversità erano un elemento primario nell’esperienza turistica. La ‘strangeness perspective’ si manifesta attraverso un continuo paragone tra la località turistica, di per sé nuova e quindi tendenzialmente estraniante e la località in cui risiede il turista, che nota e familiare e perciò rassicurante. Il linguaggio crea la sensazione di novità nella sicurezza attraverso l’uso di metafore e similitudini con la funzione di ridurre l’estraneità del luogo turistico. L’ossimoro si supera con un attento bilanciamento del vocabolario che illustra destinazioni, esperienze e vedute. John Urry, in The Tourist Gaze, 1991, argomentava che la ricerca del piacere individuale fa parte della condizione post-moderna. Mentre nella società industrializzata di tipo fordista il turismo era di massa verso mete prestabilite e istituzionalizzate, nella società post-moderna si va verso una differenziazione della massa, una dissoluzione del gruppo, una ricerca individuale in cui il ‘piacere’ è visto come un obiettivo da raggiungere. L’ultimo stadio evolutivo individuato da Urry è il post-fordismo che segna il passaggio dal vecchio turismo di massa pre-confezionato e standardizzato, al nuovo turismo che è segmentato, flessibile e su misura. Urry sostiene che ‘lo sguardo del turista’ è anticipato da un linguaggio mirato che costruisce la realtà in termini positivi, trasformandola da una località anonima e sconosciuta in una destinazione turistica. I turisti visitano luoghi che hanno già visitato attraverso il linguaggio.
Torneremo quindi alla discussione sul decoro urbano e il turismo (continua parte 4)


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