Missione improponibile

Creato il 07 agosto 2013 da Federico85 @fgwth

Un campo profughi in Somalia. Vi immaginate uno show ambientato in questo luogo? Grazie alla Rai tra poco tutto questo sarà realtà. Anzi, reality (deza.admin.ch)

The Mission. La “missione”. Questo il nome di un reality che la Rai sta realizzando in questo periodo e ha messo in programma per il tardo autunno. In un’epoca ormai dominata dai talent show l’ente radiotelevisivo italiano ha pensato di rispolverare il format del “Vip-reality”, del mettere insieme una decina di personaggi famosi – ma non troppo – in un particolare contesto che ne mette alla prova fisico e mente. Il tocco di novità pensato dai produttori di Viale Mazzini è stato però originalissimo: l’ambientazione non è più una sperduta isola tropicale o una fattoria di campagna, ma alcuni campi profughi subsahariani e centroafricani (in Sudan meridionale, Repubblica Democratica del Congo e Mali). I nomi che circolano sono quelli di Albano, Emanuele Filiberto, Michele Cucuzza e Paola Barale. Tra drammi personali, fame e malattie chissà quali difficili prove i nostri beniamini occidentali dorvanno sostenere.

Se la notizia può fare giustamente storcere il naso, a rendere ancora più paradossale la faccenda è il fatto che The Mission sia organizzato in collaborazione con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e Intersos, ong che dal 1992 aiuta profughi e migranti in tutto il mondo. Il nobile scopo di accendere – letteralmente – i riflettori su temi spesso ignorati o peggio strumentalizzati è ricercato attraverso il mezzo dello show-business sul piccolo schermo. Se da un lato è indubbio che i “numeri” di uno show in prime-time non possano essere nemmeno sfiorati da dossier e reportage messi in onda in altre fasce orarie, dall’altro la domanda sull’opportunità di spettacolarizzare i drammi esistenziali di decine di migliaia di persone va sollevata. Il rischio, non troppo remoto, è che la faccenda susciti una commozione e un’immedesimazione che dura lo spazio della puntata o peggio che vengano realizzati profitti mostrando profonde sofferenze umane. Le caratteristiche della televisione sono proprio queste: “il mezzo è il messaggio”, il flusso della successione repentina e spesso caotica di informazioni, immagini e suoni sovrasta e “cancella” il significato e il senso di esse. Per capirsi: le immagini di Emanuele Filiberto che tiene in braccio uno scheletrico bambino africano certamente provocano un legittimo sentimento di dolore e pietà nell’immediato, ma questo stato d’animo in media dura lo spazio della fruizione dell’immagine o poco più. E soprattutto, fanno notare i più critici, è molto più utile all’immagine del rampollo sabaudo che al bambino in questione.

Per chiedere alla Rai di cancellare il programma sono già state organizzate due petizioni on-line: la prima su change.org e la seconda su activism.com. Proprio su quest’ultimo portale si è fatto notare come esista per la categoria giornalistica anche un preciso vincolo dentologico, la Carta di Roma del 2008. La “carta” è un protocollo che disciplina l’utilizzo dell’immagine e dell’identità di rifugiati, richiedenti asilo, migranti e vittime di tratta redatto dall’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana in collaborazione proprio con UNHCR, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Sarebbe molto interessante conoscere l’opinione a riguardo della Presidente della Camera Laura Boldrini. Sia perché Boldrini ha lavorato una vita proprio all’agenzia Onu per i rifugiati, sia perché proprio di recente aveva salutato con favore la notizia che la Rai avesse detto no a Miss Italia perché convinta che la Tv e i media «possano fare molto per rappresentare più fedelmente l’universo femminile». La domanda, Presidente Boldrini, è molto semplice: un reality ambientato in un campo profughi in cui i protagonisti sono Vip italiani, a suo parere rappresenterebbe fedelmente la condizione dei rifugiati?



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