Quanti sono stati i momenti della politica italiana che non si sono conclusi come avrebbero dovuto o potuto? Quali e quanti sono stati i volti dei personaggi che hanno contribuito, nel bene o nel male delle cronache, a definire queste fasi storiche ( appunto) non terminate?
Entro quali ' cardini' si sarebbero potuti realizzare o consolidare cambiamenti finalizzati al rendere magari meno pesanti gli attuali problemi che allo stato attuale falcidiano società, economia e credibilità istituzionale? Cosa si potrebbe invece scrivere a proposito di altr(e ttant)e mosse rivelatesi a priori sbagliate od inadeguate per la complessità della società italiana contemporanea?
E' possibile rispondere a queste domande esponendo critiche o dati ()favorevoli documentandosi, agendo ' sul pezzo' ed addentrandosi nei dettagli, sforzando di intraprendere un'interlocuzione costruttive per contribuire a migliorare la visione del presente e delle sue stesse dinamiche fondanti.
E' parimenti lecito contestare i protagonisti dell'Italia che fu, accusandoli eventualmente ( e non troppo remotamente?) di non aver saputo guidare e/o definire nella giusta maniera le trasformazioni che hanno devastato e radicalizzato la società italiana.
Un esempio di queste visioni diametralmente opposte l'una all'altra può essere sintetizzato nell'opera " Missione incompiuta", libro-intervista a Romano Prodi scritto dal giornalista Marco Damilano ed edito da Laterza.
Parimenti a questa visione, infatti, risulta essenziale adoperarsi per contestualizzare il colloquio con una persona che, a prescindere dalle visioni politiche riguardo al proprio operato, ha cercato di interpretare e farsi portavoce di una ben precisa fase di politica e società italiane.
Il contesto stabilito dai ' confini' del libro risulta essere, su questi confini, fin troppo chiaro:
"[...] 'Ci sono momenti in cui l'Italia ha bisogno di un'auto-illusione ed è disposta a non guardare dentro a se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti nella nostra storia nazionale [...]' Romano Prodi racconta le stagioni vissute da protagonista.
Il ritratto di un Paese ricco di potenzialità, ma sempre tentato di fuggire dalle sue responsabilità, anche nelle classi dirigenti. E' stata la 'strada scomoda' il cuore dell'Ulivo, il tentativo più ambizioso di dare forza al riformismo italiano, un'azione di Governo, una visione complessiva, un popolo.
Il seme della democrazia dei cittadini, perché per Prodi la crisi potrà essere superata solo con il pieno coinvolgimento della società. Una missione incompiuta, anzi, in attesa di compimento. [...]"
Il dualismo fra missione incompiuta ed obiettivo di Governo (& cambiamento?) ancora in attesa di compimento è una vicenda che deve ancora strutturarsi per risolversi, una situazione che può sperare davvero di coagularsi ancora in qualcosa di nuovo e rinnovato?
La visione legata a questo punto risulta essere alquanto complessa ed intricata da dirimere:
"[...] l'Ulivo, e poi il Partito democratico, non sono riusciti a diventare quella forza di sinistra rispettosa del pluralismo, delle diversità e al tempo stesso capace di governare.
Si sono lacerati nella guerra civile tra i capi e infine dissolti, in occasione della mancata elezione di Prodi al Quirinale nell'aprile 2013. Il ventennio del centrosinistra si apre e si chiude nel nome del Professore. Dopo quel suicidio politico comincia un'altra storia.
E oggi il Partito Democratico è al Governo del Paese, con un'altra leadership, quella di Matteo Renzi, e forse con un altro progetto: il Partito della Nazione. [...]
E' questa, da decenni, la grande questione democratica dell'Italia e ora di molte società europee, che non può essere superata soltanto dalle leadership fortemente personalizzate, ma dalla partecipazione e dal pieno coinvolgimento di tutti nei processi della decisione. [...]"
Quali idee poter maturare da un percorso-intervista fatto con uno dei leader tanto caratteristici quanto contestati della passata fase politica? Quanti sono i passi sbagliati che certi volti hanno fatto compiere al Paese e che, a posteriori, sono stati tanto sbagliati ed inadeguati per le moltitudini ( dis?)informate?
Il senso di una missione incompiuta si è esaurito o è ancora potenzialmente esercitabile senza dover per forza sfociare nella realizzazione del cosiddetto Partito della Nazione?
Quali rischi potrebbero esserci qualora si cercasse di realizzare una sorta di schieramento unico capace di farsi portavoce delle istanze collettive?
"[...] E' una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere un Partito della Nazione. Non lo era nemmeno la Dc quando, soprattutto in conseguenza della Guerra Fredda, poteva governare da sola. La Dc di De Gasperi rimase strettamente alleata ai partiti laici nonostante, nei confronti di questi, vi fossero sostanziali elementi di dissenso.
E anche nei confronti del Pci di De Gasperi adottava la strategia di un 'anticomunismo democratico', con il quale il Partito Comunista veniva spinto a un dialogo [...] rivolto alla condivisione dei principi fondamentali della Costituzione. Anche se non era possibile un'alternanza di Governo, vi era un'aperta e riconosciuta dialettica politica. [...] il Partito della Nazione non esiste nei sistemi democratici. [...]"
Quali domani e discussioni, dunque, poter direzionare nei confronti dei responsabili ( passati, presenti e futuri) di queste strutturali prese di posizione e di altr( ettant)i sostanziali cambiamenti?