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Missione "oggi" in Tanzania e non soltanto / Intervista con p.Stefano Camerlengo Superiore Generale dei Missionari della Consolata

Creato il 04 ottobre 2013 da Marianna06

 

 

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Padre Stefano,grazie della presente intervista.

Grazie a te, Direttore della rivista “Enendeni”, anche perché mi dai la possibilità di riflettere sulla mia vita e sulle mie responsabilità. Specialmente noi “superiori” dobbiamo riflettere, affinché il nostro governo sia sempre di più un servzio.

 

Come Superiore di 997 missionari sparsi in quattro continenti, voli come un uccello per incontrarli in 24 paesi del mondo. Oggi sei in Tanzania. Che dici di questa nazione?

Innanzitutto dico: il Tanzania è un bel paese e i tanzaniani sono buoni. Certamente non mancano i cattivi, come in ogni angolo della terra. Però, nel complesso, i tanzaniani sono buoni, gentili e umili. Forse il tanzaniano può pregare con le parole del salmista: “Signore non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi, né meraviglie più alte di me” (Salmi 131, 1).

 

I tanzaniani saranno felici di sentire questo tuo apprezzamento. E dei missionari della Consolata in Tanzania cosa pensi?

I nostri missionari in Tanzania stanno annunciando e testimoniando la “consolazione” fin dal 1919, e il loro operato è noto in tutto in paese. Per esempio, sono numerosi i tanzaniani (che hanno fatto carriera) che ricordano con riconoscenza la formazione scolastica avuta nei nostri famosi licei di Tosamaganga e Mafinga. I missionari della Consolata si sono veramente dati anima e corpo per tanti anni.

Un altro elemento: i nostri missionari sono entrati nella vita della gente, e sono vicini ad essa, collaborando con tutti. In altri paesi i missionari sono un po’  più appartati dalla comunità: o sono davanti o sono dietro, ma non camminano spalla a palla con la gente .

Inoltre va ad onore dei missionari della Consolata, dagli italiani ai congolesi, dai portoghesi ai congolesi, che tutti parlano bene lo swahili.

 

Padre Stefano, grazie di ricordare i nostri pregi. Però non dimentichiamo i difetti.

I difetti non mancano.

 

Per esempio?

I missionari della Consolata in Tanzania mancano di una visione d’insieme di fronte al futuro. Da un lato rassomigliano al pesce immerso nell’acqua, cioè si impegnano dall’interno nella pastorale, nella formazione, nella salute... Però, da un altro lato, non si chiedono: “Dove stiamo andando? Quali sono le nostre finalità?”. Ecco la mancanza di “una visione d’insieme di fronte al futuro”.

Un altro aspetto negativo. Specialmente i missionari europei non si sono ancora interrogati con convinzione: “Che cosa lasciamo ai nostri confratelli tanzaniani?”. E  non solo economicamente parlando. I missionari pensano all’oggi, non al domani.

 

I missionari della Consolata operano pure in America, soprattutto in America Latina. Che dire del loro operato?

L’America Latina è piena di sfide e, talora, i missionari vi si trovano impreparati. Tuttavia restano sempre “una presenza di consolazione”, ma senza suonare la tromba. In questo sono degni figli del padre Giuseppe Allamano, nostro fondatore, che raccomandava: “Fate bene il bene e senza rumore!”.

 

La missione in America, specie in alcuni ambiti, richiede anche una buona dose di coraggio.

Certamente. E, proprio perché i nostri missionari sono coraggiosi, si impegnano nel campo della giustizia e della pace: sono a fianco degli indios Yanomami del Brasile, infondendo loro animo nelle loro sacrosante rivendicazioni sociali.

Nel regione del Caquetà, in Colombia, operano in ambienti pericolosi, infestati ancora dalla guerriglia e dal narcotraffico.

Oppure annunciano la consolazione evangelica nelle periferie delle grandi città, in parrocchie che contano anche 150 mila persone, e c’è un solo missionario.

Se visiti alcune regioni e ti inoltri su varie strade, improvvisamente ti stupisci e rallegri nel vedere che quella via è dedicata ad un missionario della Consolata e porta il suo nome. È bello che la gente ricordi il proprio missionario...

Tuttavia oggi, in America Latina, alcuni missionari si chiedono: “Dov’è la missione? Da che cosa dipende? Qual è il suo scopo?”. Sono interrogativi-sfide che assillano quanti non hanno ancora scoperto il valore della consolazione.

Abbiamo bisogno della luce dello Spirito Santo, che rischiari le tenebre.

 

Dal 1988 i missionari della Consolata sono in Corea del Sud e, dal 2003, in Mongolia, con enormi difficoltà sotto ogni punto di vista. Perché siamo andati in Asia?

Sottolineo due aspetti.

Primo: un istituto missionario, se è tale, non può non andare in Asia. Se non ci va, si priva di una “enorme ricchezza”. A prescindere delle sfide tipiche dell’Asia (che riguardano clima, lingua, cultura, religione, ecc.), siamo di fronte al continente più popolato del mondo, ma è il più povero quanto a numero di cristiani. Pertanto l’Asia dovrebbe essere una priorità assoluta per un istituto missionario.

Secondo: non andiamo in Asia, perché ha bisogno di noi. Al contrario, noi abbiamo bisogno dell’Asia.

A differenza dei vescovi dell’Africa e dell’America Latina che chiedono la presenza di missionari, i vescovi dell’Asia non chiedono niente e nessuno... Però noi andiamo in Asia, perché - come scrisse il missionario asiatico Paolo - “il regno di Dio non è questione di cibo e bevanda, ma di giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17). Gioia nello Spirito Santo. Quindi consolazione.

E noi missionari della consolazione per vocazione, non dovremmo andare in Asia?

Però in Asia ci andiamo in punta di piedi, con rispetto e umiltà.

 

Padre Stefano, non posso terminare questa intervista, senza ricordare tuo padre recentemente defunto. So che ha segnato in profondità la tua vita missionaria.

Grazie di ricordare mio padre. Quando morì, i miei fratelli ed io, con la mamma, abbiamo comunicato la notizia con le parole di Sant’Agostino: “Signore, non ti chiediamo perché ce l hai tolto, bensì ti ringraziamo di avercelo dato”.

Papà si è donato a tutti. E questo fu evidente il giorno del suo funerale con la grande chiesa zeppa di gente. A termine parecchi mi dissero: “Suoniamo le campane a festa”. Poiché esitavo, la mamma disse: “Non aver paura, Stefano. Suoniamo pure le campane, perché oggi è festa”.

È così che mio padre continua a segnare in profondità la mia vita missionaria.

 

   a cura di padre Francesco Bernardi (IMC), direttore di "Enendeni"

  

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  Beato Giuseppe Allamano da Torino Missionario per il Mondo


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