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Mistificatori e alienati

Creato il 03 aprile 2011 da Fabry2010

Mistificatori e alienati

 

Alcune settimane fa ho chiesto a un amico, lo scrittore di origine algerina Abdelmalek Smari un suo commento riguardante gli avvenimenti in Nord Africa. La sua risposta mi è sembrato così interessante che ho deciso di pubbliacarla.

Grazie, Malik!

 

Abdelmalek Smari

From a jack to a king o La favola (democrazia) che i mistificatori raccontano e a cui gli alienati credono

“Nemmeno il mercurio del barometro è variabile come queste categorie di passeggeri che, quando la nave solca superbamente le acque, impallidiscono d’ammirazione e giurano che il comandante è il più grande di tutti i comandanti mai esistiti, e perfino propongono una sottoscrizione per offrirgli una targa ricordo; ma se la mattina dopo la brezza è calata e le vele penzolano inutili tornano a scuoter la testa e a labbra strette sibilano di sperar bene che il comandante sia un marinaio, e aggiungono di dubitarne profondamente.”

Charles Dickens “America”

Mi piacerebbe sapere…

“p.s. :  mi piacerebbe tanto sapere cosa pensi tu di tutto ciò che succede in nord africa, nel tuo paese!” mi chiedevi, cara Stefanie.

Grazie per l’interessamento… del resto il tuo silenzio, riguardo a tutto ciò che succede in Nord-Africa, mi avrebbe stupito… ma purtroppo non so se sono in grado di rispondere alla tua aspettativa…

Sappi solo che io, quei paesi, non li conosco. Sono stato quattro o cinque volte per due o tre giorni, quattro al massimo e di passaggio, a Tunisi.

Della Libia sapevo solo che era un paese arabo con al suo vertice Gheddafi come capo supremo e leader della rivoluzione del 1969.

In Egitto, non ci sono mai stato. Invece avevo letto parecchio della sua letteratura perché la letteratura araba è (quasi) letteratura egiziana e vice versa.

Del Marocco, ho visto le sue due capitali in due, tre giorni… pensa un po’ che idea posso aver avuto di questo paesi e dei suoi abitanti in meno di 24 ore, se escludiamo il sonno!

Dell’Algeria invece so ciò che il cittadino politicizzato possa sapere del proprio paese, cioè poche ed imprecise cose; la realtà rimane molto più opaca e complessa anche se l’arroganza della mente umana tenta di farci credere di poter definirne la natura, svelarne i misteri e semplificarne il brulicare delle complessità e le varie imprevedibilità…

Oltre a questa difficoltà metodologica, ne esiste un’altra, fisica questa: io vivo in Italia ormai da 20 anni. Sono 20 anni che mi sono allontanato dal mio paese e i pochi giorni (20 al massimo) che vi spendo una volta l’anno non mi permettono di seguire in modo preciso e pertinente i cambiamenti dei costumi e l’evoluzione della coscienza politica dei miei concittadini.

Perciò non vorrei giocare all’esperto, come si vede in questi giorni in tv: gente che non sa nulla di quei paesi ma che con sfrontatezza fa delle (pseudo) analisi, avanza delle pseudo ipotesi e conclude sentenziando con delle profezie così inesorabili come la corsa del tempo, il risorgere del sole e della luna o l’attrazione gravitazionale!!!

Per quanto mi riguarda, cercherò d’esprimere le mie impressioni personali con le riserve che ho posto qui sopra come premesse.

Adesso ti faccio io una domanda, per completare e spiegare meglio la mia risposta: Quanti secoli, la Germania ha messo per conquistare in un modo “definitivo e irreversibile” il suo progresso sociale, economico e politico?

Dagli albori dell’unità della Germania fino ai nostri giorni sono già passati due secoli circa. E già prima di quel periodo la Germania (la grande Germania) aveva un Fichte, un Goethe, un Hegel e ben altri grandi spiriti della scienza, dell’arte, della politica, dell’economia, della storia…

Ora t’invito ad andare a cercare nei paesi del Nord-Africa i grandi uomini e a citarmene uno. Son sicuro che non troverai nessuno tranne qualche spiritello… e dei martiri, ovviamente.

E poi non è detto che l’evoluzione vada sempre liscia, senza arresti o regressioni a volte drammatici, nonostante la presenza storica o effettiva di questa stirpe di grandi uomini, di questi spiriti universali. “Ricordiamoci, scrive l’algerino Rachid Minmouni, che è stata la democrazia della repubblica di Weimar a permettere l’accessione di Hitler al potere. »

Questa premessa, cara Stefanie, è per dirti che io non ci credo molto in queste cosiddette rivoluzioni.

Prima di proseguire, t’invito a riflettere su queste citazioni che ho pescato ne:

1) Le monde del 15-03-11’’ di Jean-Noël Ferrié che dice “Hosni Moubarak non è stato cacciato dal potere sotto la pressione di un’opposizione politica credibile, ma da un’aggregazione di malcontenti che ha preso corpo dopo la caduta di Ben Ali in Tunisia. Senza nessun altro contenuto ideologico.” …

“La trasformazione in portavoce dei manifestanti di piazza Tahrir del vecchio direttore generale dell’AIEA, Mohamed ElBaradei, che, fino all’anno scorso, non si era preoccupato della politica egiziana, dimostra a che punto il paese non disponeva di figura di oppositore credibile.”

2) Le monde diplomatique, marzo 2011; Alain Gresh dice :

“Era diventato banale, nei corridoi dell’Elisio come in quelli delle cancellerie occidentali, di sghignazzare di la “Strada araba.” Bisognava veramente tenere conto di ciò che pensavano questi alcune centinaia di milioni di individui di cui non si poteva aspettare, per il meglio, che degli slogan.”

Già!

No, gli eventi in corso nel Nord-Africa non sono rivoluzioni, per la semplice ragione che la gente che ha innescato il movimento di ribellione e lo ha condotto non si era preparata e non era nemmeno convinta del risultato. Sono movimenti sì, ma movimenti browniani.

All’inizio i rivoltosi pensavano…

All’inizio i rivoltosi pensavano tutt’al più di conquistare se non dei diritti modesti, almeno delle promesse come al solito e delle menzogne ingannatrici.

I rivoltosi non erano pronti né materialmente né strategicamente a misurare la portata delle loro azioni né a sapere che da lì a poco avrebbero spaventato i loro dittatori da fare loro scappare via dal paese. Non ci vedevano, poverini, lo zampone degli States e dell’agnellino Obama.

Non sono rivoluzioni anche perché quella gente non aveva un progetto di governo, né gente già pronta a prendere la relève, a sostituire nel caso il governo decaduto.

Non bisogna essere un Bismarck o un Leo Strauss per capire che le persone che noi troviamo oggi al vertice dello Stato tunisino o di quello egiziano, dopo le rivolte dei due ultimi mesi, non fanno parte dei rivoltosi ma bensì sono uomini che facevano parte della ex nomenclatura che girava attorno agli ex dittatori e che servivano con raro zelo i loro regimi.

È ovvio che da opportunisti camaleonti come sono, queste persone servitrici dei dittatori erano svelte a voltare gabbana e a far vedere che non avevano niente a che vedere con l’ex regime.

La rivoluzione, fondamentalmente e prima di ogni considerazione, è una presa di coscienza storica; è la volontà e la capacità lucide di tutti gli strati precari di una classe maggioritaria e oppressa di combattere una manciata di uomini di potere che costituiscono una classe sfruttatrice ed oppressiva; è ordine nelle idee e nelle azioni;

è un’impresa seria portatrice di speranze e prosperità non di caos;

è un cemento di militanza politica che lega assieme gli oppressi e da’ loro unità e forza;

è un progetto di lotta e di società concepito e svolto dai figli della nazione stessa in rivolta;

è la preparazione degli uomini della relève;

ed è uno sradicamento di tutti gli uomini del vecchio regime e di tutte le loro pratiche di sfruttamento e d’oppressione;

è una lotta contro le esclusioni sociali ed ogni forma di segregazione di colore, di sesso, di classe, di età, di lingua e di confessione;

è una lotta per il rispetto dei diritti della maggioranza (e di ogni altra minoranza) non per sostituire una minoranza sfruttatrice con un’altra e dare così un nuovo fiato al sistema dell’ingiustizia e dell’oppressione…

Personalmente non credo che le rivolte dei tunisini, degli egiziani o attualmente dei libici, abbiano questi criteri, pur essendo criteri scarni.

Il caso della Libia poi ha tolto il telo che copriva il proprietario dello zampone di cui parlavo sopra: è lo stesso Obama che si è rivelato un pagliaccio, un orco, terribile… è lui il vero fautore delle cosiddette rivoluzioni arabe per servire il Capitale.

Non c’è quindi rivoluzione per il fatto che nell’anima e nella prassi di queste popolazioni in rivolta manca un background culturale, manca ancora qualche secolo di tempo, manca ancora una visione storica e geo-strategica, mancano ancora gli strumenti epistemologici e la serenità metodologica per orientarsi nella storia, mancano ancora una visione unita, un’autonomia, un progetto sociale originale e chiaro e dei mezzi logistici per poter realizzare tali programmi e miracoli.

Infine ci sono state nel passato recente o lontano di questi paesi tante di queste insurrezioni ma come vediamo non hanno portato nulla di concreto; o almeno i progressi sperati o sognati sono stati scarsi o di poco rilievo.

Ma ci sono stati comunque dei cambiamenti astronomici(!); cambiamenti invisibili però visto l’immensità delle realizzazioni che rimangono ancora da fare: come il fatto di camminare per un neonato, come il fatto di parlare, come il fatto di crescere…

Sì, come le tappe di crescita del bambino che, nonostante tutti le sue metamorfosi epocali e straordinari, il bimbo pur crescendo rimane ancora bimbo.

E sbaglia di grosso quello che si mette a paragonare le performance di questo bambino in crescita (il suo camminare, l’acquisizione della lingua, il suo crescere) a quelle di un adulto, giudicarlo e concludere alla scemenza del bimbo…

Quindi questi eventi non andranno mai persi dalla memoria di questi popoli. Questi eventi saranno capitalizzati e aggiunti alle altre esperienze già acquisite e alle altre crisi di crescita già vissute. Questi eventi nella vita di una nazione devono essere considerati anche come degli sperimenti di vita con dei giorni belli e altri pessimi.

Quante volte il bimbo cade prima di imparare a camminare! Quanta strada deve fare lo straniero in Italia per imparare decentemente la lingua italiana!…

Durante i loro cammini alcuni di questi paesi ci lasciano la ghirba, altri resistono ma non di certo riescono a tutti i colpi.

Comunque nella vita di un popolo ci vogliono tante scosse o rivolte storiche perché ci si riesca a capitalizzare l’esperienza dei decadi e le tribolazioni dei secoli che dovrebbero propulsare quel popolo direttamente nell’età matura…

La cultura politica e gli algerini in particolar modo

Qualche giorno prima che la rivolta tunisina prendesse le proporzioni che sappiamo ormai, l’Algeria si era insorta e la gente di tutte le regioni era uscita nelle strade e nelle piazze in un modo spettacolare per contestare l’aumento del prezzo di alcuni prodotti base (olio e zucchero).

Quella insurrezione, che aveva durato due tre giorni, aveva scosso i nostri governanti che subito avevano risposto con delle misure molto sagge e concrete come l’abrogazione della legge dello stato d’emergenza (in vigore da 19 anni!), l’aumento di stipendio per alcune fasce di lavoratori lese, i provvedimenti seri e concreti per combattere la pesantezza delle burocrazie sclerosate, l’apertura concreta sui problemi di casa e di lavoro, l’ascolto operativo e serio dei giovani…

Queste misure sono state non solo concrete ma anche, cosa inaudita quasi, concretizzate! ed ipso facto!! Chissà quanto pesano queste misure, a lungo termine, sul tesoro dello Stato, perché sono sicuramente delle spese insopportabili per le capacità reali del tesoro pubblico?!

Ma purtroppo gli algerini, come il resto dei terzomondani, non sono che un’aggregazione di tubi digestivi e non si curano per niente che il tesoro pubblico sia svuotato dopo essersi servito a riempire i loro voragini di pance o le loro bucate tasche.

Quella insurrezione ha avuto un effetto diretto all’interno del nostro paese e un effetto indiretto, incoraggiante, all’estero vicino (Tunisia, Egitto, Marocco e Libia).

C’è chi vi ha visto i segni di continuazione della cosiddetta guerra civile che non si sarebbe ancora spenta, che non arriverebbe o non dovrebbe mai spegnersi!

C’è chi vi ha visto una contestazione contro i governanti; secondo la tesi manichea, tipica degli esperti algerologi, che vuole e insiste che in Algeria esista da una parte un regime corrotto, oppressore e brigante e dall’altra parte un gregge di primati, innocenti perché scemi, alienati, oppressi, derubati e senza capacità di coscienza, di indignazione e di resistenza o di lotta.

Che sia ben inteso che una reale rottura tra i cittadini e chi li governa esiste in Algeria, come esiste qui in Italia, come esiste dappertutto nel nostro mondo, come è sempre esistito nella storia.

Da una parte c’è l’individuo con il suo egoismo, i suoi interessi e le sue aspirazioni alla libertà, e dall’altra parte esiste la collettività che, nel nome dell’interesse della maggioranza, non solo chiede ma impone coercitivamente certi limiti alle libertà dell’individuo e certi ridimensionamenti ai suoi interessi e al suo egoismo.

Ma questa rottura è più scandalosa in Algeria per la particolarità storica di questo paese che dal 1500 circa (con l’occupazione turca ottomana prima e quella francese a partire dal 1830) fino al 1962 (data dell’indipendenza dell’Algeria), gli autoctoni furono rigorosamente, sistematicamente e scientemente esclusi ed impediti di fare politica.

I francesi deliberavano nel parlamento l’esclusione degli indigeni addirittura dalla sfera dell’umanità!

Le cose essendo state così, è ovvio che gli algerini dimenticano (e hanno dimenticato) del tutto ciò che la parola politica possa significare. Anzi ci fu un tempo in cui non sapevano più se essa esistesse!

Di fronte alle politiche razziste e ai genocidi di quei regimi di occupazione e d’esclusione turco-francesi per cinque secoli circa, l’algerino ha sviluppato un atteggiamento, per non dire una psicologia, ostile ad ogni forma di potere. Per l’algerino, i governanti delle due potenze occupanti erano visti come dei meri predatori, oppressori e sfruttatori.

Quando, più tardi, l’Algeria strappò la sua indipendenza ai colonizzatori francesi, si è trovata impreparata per governarsi.

Da un lato gli unici uomini o donne che avevano un’idea della governance moderna erano pochi ed insufficienti mentre ci voleva una vera classe dirigente (abbondante) formata in e attraverso i partiti politici o nelle grandi scuole di scienze politiche, economiche e sociali.

Dall’altro lato, il popolo ha cominciato a svegliarsi grazie alle attività di sensibilizzazione alla politica che il movimento nazionale per l’indipendenza svolgeva.

Questo risveglio era solo risveglio, perché per re-introdurre un popolo nella storia dopo cinque secoli di morte storica e civile, ci vuole un vero e proprio “Alzati e cammina!”.

Ed è ciò che la scuola dell’Algeria, con grande volontà ma scarsa arte, sta cercando di fare. Ma ci vogliono ancora lustri e decadi…

I governanti autoctoni hanno quindi ereditato una situazione invivibile e quasi impossibile da gestire (lo stesso si può dire dei paesi ex colonizzati): la loro inesperienza nell’arte di governare, l’ambigua concezione che hanno della loro funzione stessa di governare (imitano il comportamento del colonizzatore; forse nel loro inconscio vi prendono piacere perché da’ loro l’impressione di avere finalmente l’occasione di vendicarsi dai colonizzatori!), il ricorso fin dai primi anni dell’indipendenza ad uno stile di sviluppo fondamentalmente omologante ed autoritario come il socialismo forzato ed imposto con indottrinamenti e manganelli, la povertà del popolo, l’analfabetismo atroce, la scarsità del senso di cittadinanza che provoca solo dis-unità e caos nel concepire ed assumere l’interesse comune…

Dal suo lato il popolo, educato per secoli a sottomettersi, a subire le esazioni e le ingiustizie, a servire da bestia di some o a servire da carne da cannone, a vedere nel potere una specie di brigantaggio e di guerra dichiaratagli… il popolo ha perso la fiducia in chi lo governa e nella politica in generale.

Inoltre i paesi predatori (ex e neo colonialisti) non smettono di alimentare questa rottura spargendo voci in giro che i nostri governanti sarebbero dei corrotti, dei briganti, dei sanguinari che si sarebbero ammassati delle fortune colossali rubandole al popolo facendo man bassa su tutte le risorse naturali del paese!

Visto che il nostro popolo, per la sua grande maggioranza, ignora i giochi politici e strategici tra le nazioni e i gruppi di potere, non riesce ancora a capire che si tratta di intox e di mistificazioni distillate ininterrottamente da potenze e/o classi predatrici in gioco per dividerlo e seminare in lui (il popolo) il caos e paralizzare le menti e le forze attive…

Il nostro popolo crede in questa mistificazione, in questa favola nera, e perciò vede nei suoi governanti una banda di briganti sanguinari, li accusa d’essere responsabili dei propri fallimenti, fa quindi il vittimista e (già che rinuncia a pagare le tasse pur godendo di scuole, ospedali, giustizia e vari protezioni tutto a gratis!), alla prima occasione che gli si presenta, s’infiamma istericamente e comincia ad urlare e sbavare, a minacciare con dei bastoni come l’arcaico uomo delle caverne, a spaccare i beni pubblici per prima cosa, a derubare il vicino di casa, ad aggredire il suo prossimo (i governanti, non li raggiunge ovviamente) poi chiede la testa di chi lo governa, senza sapere a chi né per quale motivo, senza rifletterci bene sopra, senza preparare o prepararsi alla relève, senza pensare nemmeno alle conseguenze dei propri atti perché spesso questo tipo di rivolte falliscono ed i rivoltosi ritornano a subire lo stesso sistema “contestato”.

I benefici immensi della caotizzazione totale dei paesi del terzo mondo voluta dalle potenze predatrici

Insomma è una specie di autoflagellazione: una follia aggressiva di tutti contro tutti; un saccheggio dei beni privati e pubblici; un regolamento dei conti non a un regime oppressore (la gente comune non ci arriva mai a vendicarsi o, se vogliamo, a farsi giustizia presso i loro oppressori) ma gli uni agli altri individui della stessa condizione social-precaria (una guerra tra i poveri); una caotizzazione totale del loro paese per preparare così il terreno ai veri oppressori, alle spietate e voraci multinazionali, ai missionari in male di caritas urget, ai vari mercenari ed altre “legioni straniere”, in parole povere, preparare il terreno all’invasione ed occupazione del loro paese da parte delle potenze colonialiste…

Ho in mente l’indicibile e recente caos in cui vivono Stati che erano passati per questa strada; Stati come la Somalia, l’Iraq, l’Afghanistan, il Pakistan, il Sudan e in questi giorni si sta tentando con la Libia e i paesi del Nord Africa…

E ce ne sono altri paesi caotizzati, e ce ne saranno altri ancora se i popoli di questi paesi continuano, nel nome di una chimerica rivolta contro un’irreale oppressione, a distruggere i loro propri paesi e offrirlo su un piatto d’oro alla voracità delle potenze neo colonialiste come Usa, Inghilterra, Francia, Italia e, in una misura ancora minore ma non innocua, ad alcune potenze dette emergenti come la Cina e l’India.

A proposito, Gheddafi ha invitato l’altro ieri Cina, India e Russia ad investire nei campi petroliferi della Libia… come misure di ritorsione contro gli Stati che gli sono stati ostili in questi ultimi tempi difficili per la sopravvivenza del suo regno.

Ma poiché la maggioranza lo vuole, in un modo o in un altro, le cose finiranno sicuramente per riassestarsi e sicuramente finiranno per avere ragione delle mie paure da reazionario fifone.

Tuttavia la cosa di cui non mi potrò illudere è che i cambiamenti che avranno luogo non saranno mai in grado di bruciare le tappe della storia; perché la prosperità e la democrazia (pane e dignità) rivendicati dai rivoltosi di questi giorni sono surreali nel senso che non avvengono che dopo un lungo e continuo processo di crescita e di lente trasformazioni: è una questione di secoli… sono surreali perché tutto è relativo come dice scienze sociali

Le rivendicazioni di questi rivoltosi sono surreali e chimeriche anche perché esse non si basano su vere necessità dettate da bisogni reali ed autentici ma dall’illusione che gli fa credere che basterebbero il martirio o il cambiamento degli emblemi di un regime per avere pane e rispetto ed accedere quindi alla democrazia; e che gli basterebbe che si dicesse di loro che sono democratici per raggiungere il livello di prosperità, di democrazia e di coscienza dei paesi ricchi e endogenicamente democratici!

Gli autori di queste rivendicazioni non hanno un progetto adatto alla loro condizione ma le immagini di questi paesaggi alpini puri, di queste strade pulite e belli, di questi visi rosa sorridenti e ben portanti con cui la pubblicità martella loro la coscienza giorni e notte ed in ogni modo e attraverso vari strumenti (tv, internet, i turisti, …)

Gli autori di queste rivendicazioni pensano che una volta Ben Ali, Mubarak o Gheddafi via, diventino di colpo ricchi, sapienti, sani, rispettati e rosa con capelli biondi ed occhi azzurri o verdi!! Ecco cosa hanno in mente quando parlano di cambiamento: una distorsione completa della realtà! Ed ecco perché le loro imprese ed agitazioni non sono e non possono essere una rivoluzione.

Oddio, ci vuole anche l’illusione e l’utopia per fare il mondo…

I cambiamenti ci saranno quindi – speriamo che siano nel senso giusto – ma non di sicuro saranno tali da propulsare quei popoli dal giorno all’indomani nell’olimpo dei paesi della ricchezza, della democrazia e della potenza… per questo, bisogna correre ancora.

No! Non ancora: a jack is a jack, a king is a king.

“Ma – dice il giornalista Kharroubi Habib del Quotidien d’Oran 02 marzo 2011- ci sono anche l’America e l’Occidente i quali l’avvento della democrazia nel mondo arabo non entusiasma oltremodo, malgrado le loro dichiarazioni di principio che fa credere alla loro soddisfazione di vedere questa regione sconvolta dalle rivendicazioni che vanno in questo senso.”

Il consigliere di Obama per le questioni del MOEAN, Ross, in un’intervista, qualche settimana fa, riconosce in qualche modo lo zampone dell’America nell’agitare e favorire questi eventi:  “Seguivamo con molta attenzione, da tempo, le sfide nei nostri confronti nella zone. E operativamente in agosto 2010 Obama ha firmato una direttiva che ci ordina di fare degli studi governativi circa le riforme politiche nel Medio – oriente e nel Nord-Africa . E allora durante mesi e mesi facevamo riunioni settimanali per dibattere le questioni delle riforme politiche in quei paesi…” Il quotidiano arabo El-Hayat 03-03-11

Lo stesso articolo spiega il ruolo degli USA: si tratterebbe di mettere dei freni alla macchina repressiva su cui si appoggiavano i governi, teatro delle recenti rivolte arabe. Perciò i dittatori di quei paesi si sono trovati abbandonati dai loro potenti e quasi naturali sostenitori e fornitori di arme (USA e Europa occidentale) e sono diventati di fatto vulnerabili ed esposti all’ira dei loro popoli spesso oppressi e frustrati.

Quanto ai generali dell’esercito, loro fanno quelli che hanno il compito di “convincere” i dittatori della necessità di partire. E infatti è così che quegli scenari si sono svolti in Tunisia e in Egitto e si stanno svolgendo nello Yemen e nella Libia.

Ma perché gli States creano questi caos nei paesi già sciagurati dalle vicissitudini della storia e dalle potenze predatrici?

Secondo me per vari motivi che sono poi alla fin fine esigenze o necessità vitali per la sopravvivenza degli Stati Uniti stessi (in testa): la coesione interna fra le centinaia di etnie che compongono i loro abitanti, la crisi economica, l’apertura dei mercati internazionali, l’accesso facilitato ai mercati, l’assicurarsi una mano d’opera docile e a buon mercato, l’assicurarsi dei luoghi dove ci si sbarazza con costi minori dei rifiuti nucleari e chimici, la tratta dei bambini e delle donne, il traffico di organi umani, il traffico di armi, le sperimentazioni delle armi nuove e delle strategie e tecniche nuove di combattimento, l’egemonia culturale, l’affermare insomma la supremazia di quella “stirpe” di potenze egoiste, predatrici, neo-colonialiste che sono al servizio del Capitale e delle multinazionali.

Questi vantaggi non lasciano indifferenti i cittadini di quei paesi: li vedono di buon occhio, con orgoglio, perché anche loro in qualche modo possono approfittane: sentirsi fare parte di quelle nazioni forti è gradevole oppure avere la possibilità per un pezzente con mezzo stipendio di fare delle vacanze da re, senza parlare di turismo sessuale dove persone anziane e flosce possono permettersi di nicare con giovani ventenni, dei safari di caccia a fare l’Indiana Jones, di collezione di pezzi di musei e d’archeologia e rubare vari opere d’arte…

Si capisce quindi quando una persona dice che gli States e l’Europa dell’ovest non vogliono la democrazia nei paesi del terzo mondo. Non vogliono stabilità, non vogliono sviluppo, non vogliono pace, non vogliono lucidità né coscienza storica in quei paesi…

Detto questo, non intendo giustificare la mediocrità politica né discolpare i mediocri politici di quei paesi scigurati; al contrario io aborrisco la dittatura e i dittatori, di destra o di sinistra che siano, dei paesi del terzo mondo o dei quelli del primo mondo qualsiasi siano il colore della pelle, la cultura, la forma e il vestito.

Quanto alla dittatura dei paesi detti democratici, essa non si vede perché è applicata prevalentemente alle nazioni deboli. Sembra che essere dittatore sia (ed è, secondo me) la regola fondatrice della natura umana: chi non è dittatore a casa propria, è dittatore a casa dei vicini. Altrimenti come potremmo chiamare le crudeltà e l’ingerenza nei paesi altrui?

Segnati dal sistema coloniale e dai suoi nostalgici, segnati dal proprio fallimento di sviluppo, segnati dall’inaudibile umiliazione di marzo 2003 per opera del regime di Bush, gli arabi non tarderanno a comprendere che i loro governanti sono anch’essi vittime delle macchinazioni del Capitale internazionale e dei suoi diversi servi (le grandi potenze) e allora là ci sarà una vera presa di coscienza, ci sarà una vera rivoluzione, ci sarà un vero cambiamento…

E allora là l’intox dei mistificatori che ingannano gli alienati si spegnerà da sé.

E allora là gli arabi respireranno aria buona e profumata di libertà e di dignità.

POST SCRIPTUM :

In victoria vel ignavis gloriari licet; advorsae res etiam bono detrectant

E la vittoria, cara Stefanie, sarà americana o non sarà. Quanto al popolo libico,esso ritornerà a leccare beatamente gli stivali dei nuovi padroni…

Il grande giornalista egiziano Hassanein Haikel, che conosceva profondamente il sistema che regge la politica estera degli Stati Uniti, aveva dimostrato in un suo libro che ogni presidente americano ha e deve avere la sua o le sue guerre; da questo punto di vista Obama non fa eccezione. Eccolo che inaugura anche lui la sua guerra.

Scommetto che ci prenderà gusto e non si fermerà alla Libia perché bisogna prima di tutto mantenere un nemico esterno, unica strategia per mantenere coese le popolazioni e etnie degli Stati uniti.

È quello che ha dichiarato Jean Ziegler al quotidiano algerino El Watan du 5-11-10: “Obama ha un linguaggio molto dolce, ma in fondo, la dottrina americana non si è mossa d’un iota sia per quanto riguarda la Palestina, sia per quanto riguarda l’Afghanistan… la stessa maniera di guardare il mondo! Al Cairo, Obama si è volto all’insieme  dei mussulmani e non ha fatto che confermare, ancora una volta, che lui stesso era chiuso nelle tesi di Huntington sullo scontro delle civiltà.”

In secondo luogo gli USA “devono” cacciare i pericolosi concorrenti cinesi ed indiani che stanno invadendo il mondo arabo e l’Africa.

Bisogna anche, con quest’onda di caotizzazione, dare da fare per qualche cent’anni ancora agli “oziosi” paesi del Nord-Africa (e non solo): così quei mercati di mano d’opera, di materie prime, di mercati aperti… saranno proprietà privata degli Stati uniti e dei loro vassalli e vari sub-appaltatori

E poi queste guerre atroci contro i paesi deboli servono ad appagare la brama perversa della nostra società moderna affamata ed assetata, sempre di più, di spettacoli di violenza, di crudeltà, di cronache nere e di guerra… spettacoli dal vivo e gratis! Che vogliamo di più?!

La supremazia dei paesi predatori è sempre in vigore anche se è stata sviata per un po’ di tempo dalla scossa bolscevica.

Il petrolio, lo consumano loro con il prezzo che vogliono; e non è certo la tua o la mia intelligenza o resistenza che glielo impediscono. È da quando lo hanno scoperto che è loro.

Non fanno la guerra per averlo quindi, no. Idem per le basi militari; con Gheddafi o con un altro, l’avrebbero avuta, loro.

Sai perché? Perché hanno la forza (una forza che Cesare stesso non sognava) e quindi il diritto assoluto. Ah la forza, unica legittimazione delle azioni umane. Forse i collaborazionisti e gli alienati (alleati,sub-appaltatori) facilitano anche un pochino la bisogna…

Gheddafi per loro è un fumo che soffiano con efficacia negli occhi dei vari alienati e collaborazionisti loro malgrado. Essere un cattivo cittadino è cool, quando si è alienato.

Detto questo, è tutta la Libia che vogliono. E sarà la chiave per tutta la regione… come ieri in Iraq, come nei tempi classici delle colonizzazioni.

Vendita delle armi

Jeune Afrique 10/03/2011 à 17h:07 di Constance Desloire il X° salone internazionale di difesa (Idex), oraganizzato ad Abou Dhabi, è stato un grande successo… alcuni Stati potrebbero abbandonare gli armamenti pesanti a favore strumenti (armi) antisommossi. Le compagnie britanniche hanno esposto tutta una gamma di granate lacrimogene e di pallottole di gomma,…” ecco anche a che cosa serve la guerra.

“Libia – è il titolo del giornale Le monde del 22-03-11 -: gli insorti, in mancanza di armi e di benzina.” Ecco; corra a vendere chi ne ha!

La rivista Sciences humaines N° 224 di marzo 2011 scrive « Il successo, come la ricchezza, essendo sempre relativo, ogni accesso ad un gradino superiore non può produrre che soddisfazioni provvisorie e frustrazioni relative; che ciò concerni il successo sociale, sportivo, scientifico o artistico.”

Solo la guerra, ahimè, è una costante della natura umana!!

“Ma la bellezza dei campi (sembravano tanto piccoli!), delle siepi e degli alberi; le villette, le aiuole, le antiche chiese, le magioni e ogni cosa ben nota; e tutte le delizie di quel viaggio che addensava nel troppo breve giorno d’estate le gioie di tanti lunghi anni nella gioia di riprender contatto con la patria e con tutte le cose che ce la rendono cara: tutto ciò, né la mia lingua né la mia penna sarebbero sufficienti a descriverlo.” Charles Dickens “America”



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