Mitt Romney prevale nettamente su Barack Obama nel primo dibattito presidenziale
Lo scorso 3 ottobre si è svolto il primo dibattito presidenziale tra il presidente in carica Barack Obama e il suo sfidante, il repubblicano Mitt Romney.
A questo ne seguiranno altri due, il 16 e il 22, inframmezzati, l’11 ottobre, dall’unico confronto tra i due candidati alla vicepresidenza, l’”incumbent” Joe Biden e il rivale conservatore Paul Ryan.
Il presidente vi è arrivato confidando in sondaggi molto favorevoli: un buon vantaggio in stati chiave come Ohio e Florida e numeri altrettanto positivi tra le componenti della sua tradizionale “constituency”, donne, latinos, giovani, anziani e gay.
Romney si è presentato di fronte agli schermi televisivi e al moderatore della PBS, Jim Lerher, come un candidato all’ultima spiaggia: in notevole ritardo rispetto ad Obama negli “swing states”, gli stati in bilico, e costretto a rintuzzare le critiche democratiche di non tutelare gli interessi del 47% degli americani, cioè quell’ampia parte dell’elettorato, che, come affermato da lui stesso in un incontro off the record nel maggio scorso, non sarebbe mai riuscito a convincere a votare per lui perché troppo legati alle politiche assistenziali statali.
E invece, è accaduto un mezzo miracolo. Il governatore del Massachussets è uscito dal dibattito come il vero trionfatore della serata.
Smentendo tutte le previsioni che lo volevano legato e legnoso nella sua esposizione, quasi una replica di Al Gore nel 2000, Romney è apparso reattivo, aggressivo e dalla battuta pronta.
Una prestazione brillante che ha fatto dire a molti che, finalmente, dopo lunghi mesi di campagna elettorale, il candidato repubblicano è apparso “presidenziale”, degno quindi di succedere ad Obama come 45^successore di George Washington.
In realtà, la buona riuscita del dibattito non può essere usata per nascondere la vaghezza delle proposte politiche di Romney, incapace di indicare misure concrete per favorire la ripresa economica americana, diverse dal ridurre le tasse, e soprattutto la sua caratteristica, ampiamente risaputa, di cambiare posizione sulle diverse tematiche oggetto della contesa politica.
Ad esempio, quando ha detto che se fosse diventato presidente, non avrebbe ridotto solo le tasse alle classi più agiate, come ha invece sostenuto per mesi e così via dicendo.
L’obiettivo di Romney è evidente: dopo essersi spostato all’estrema destra per vincere le primarie del suo partito, adesso, nella contesa finale, ha deciso di spostarsi al centro dello spettro elettorale, ripudiando, o mettendo in secondo piano, buona parte delle posizioni espresse in precedenza.
Una tattica che non può fare onore alla sua credibilità politica e che rischia di farlo apparire come un flip-flopper, un politico che cambia opinione a seconda del vento e del suo uditorio.
Eppure, nonostante l’evanescenza delle proposte di Romney e le sue menzogne in diretta televisiva, Obama non è riuscito a toccare palla.
Quanto l’ex governatore è apparso tonico e reattivo, tanto più il presidente è apparso dimesso, cauto e quasi a disagio di fronte alle telecamere, lui che di fronte alle folle è sempre stato in grado di generare speranze di cambiamento e fiducia nella politica.
Alcuni commentatori hanno scritto che dal linguaggio del suo corpo sembrava che Obama non volesse assolutamente essere lì, costretto a confrontarsi con un politico che non apprezza e assillato, da presidente, da problemi ben più grandi che non apparire energico e pronto a difendere le sue posizioni in un dibattito presidenziale.
Probabilmente Obama seguiva un piano ben preciso, fondato sulla volontà di non attaccare l’avversario per apparire superiore e dimostrare di avere la statura del presidente in carica, tuttavia, vedendolo all’opera, forse Barack ha esagerato.
Gli occhi bassi, intento a prendere appunti, evitando spesso di guardare Romney negli occhi, l’uso di espressioni come “sono pienamente d’accordo con il mio avversario”, usate spesso da Richard Nixon nei duelli perdenti con John Kennedy del 1960, hanno avuto l’effetto di far apparire Obama debole e quasi esausto di essere presidente.
Dal prossimo incontro il leader democratico dovrà adottare una tattica diversa, contrastando il suo avversario sia sulle sue bugie, sia sui suoi punti deboli, come la famosa frase del 47%.
Per ora, i danni sono ancora recuperabili, se è vero che in un sondaggio successivo al dibattito, Obama resterebbe avanti a Romney di due punti percentuali.
Anche l’andamento dell’economia sembra favorirlo: secondo le statistiche, in settembre, l’economia americana avrebbe aggiunto circa 114.000 nuovi occupati, facendo scendere il tasso di disoccupazione sotto la soglia psicologica dell’8%, al 7,8, per la precisione.
A questo punto, solo Obama può perdere la Casa Bianca e permettere a Romney di godere dei frutti di una ripresa del sistema produttivo americano che solo le sue politiche sono riuscite a permettere.
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