Ultimamente ci sono tornato in fissa. Non so quand’è successo, e nemmeno come, ma d’improvviso è ricomparso il forte interesse nei confronti dell’Universo di Michael Jackson.
La star nativa di Gary è stata tra gli artisti più influenti nel panorama musicale contemporaneo, in quello del ballo, ed ha spianato la strada a tantissime pop star che si sono affacciate al pubblico in seguito. La maggior parte di noi (o, almeno, tutti noi che siamo cresciuti di pari passo col suo straordinario successo) ricorda lucidamente dove si trovava e cosa stava facendo al momento della notizia della sua morte nel 2009. Io, ad esempio, ricordo di aver pensato che si trattasse di una bufala. Come se lui non potesse mai morire. Come se fosse scontata la sua Immortalità.
Provando a scavare il fondo del baule delle memorie, invece, credo che il mio primo approccio (non felicissimo) con il Re del Pop risalga ai primi anni ottanta. Erano gli anni della sua ascesa come cantautore solista, si stava separando dalla band fondata insieme agli altri fratelli, i Jackson 5, ed aveva da poco pubblicato un album che sarebbe entrato di diritto nel Guinness dei Primati per numero di copie vendute: Thriller. Il video della canzone che diede anche titolo al disco veniva spesso trasmesso da una rete locale campana (allora i canali tematici in Italia erano inesistenti) che offriva un segnale analogico instabile ma tutto sommato efficiente. John Landis, regista di Un lupo mannaro americano a Londra e The Blues Brothers, fu chiamato a ricreare uno scenario horror fatto di zombie, lupi mannari e persino dei denti da vampiro. Il risultato fu un cortometraggio mozzafiato, se consideriamo i parametri dell’epoca. Quel video, lanciato nell’etere selvaggio, fu per me un autentico spauracchio negli Anni Ottanta, al punto da doverlo evitare fino a quando età e coscienza mi hanno permesso di sviluppare coraggio per vederlo.
Il secondo ricordo che ho di Michael è quello che probabilmente mi ha permesso di legarmi maggiormente alla sua musica. Mi trovavo ricoverato per qualche giorno in ospedale e mi annoiavo a morte. C’era però il walkman (si, ho messo il link a Wikipedia per questo aggeggio) a tenermi compagnia e una cassetta che mio zio mi regalò per l’occasione. La cassetta era un Best of pirata di Michael con alcune delle tracce tratte da Thriller e Bad riproposte in sequenza casuale. Fu così che elessi Human Nature la mia canzone preferita dell’artista afroamericano.
Arrivò poi l’Era di Dangerous, il suo terzo album da solista. Mio cugino ed il mio migliore amico avevano la medesima tela raffigurante la bellissima copertina del disco. Italia Uno mandò in onda l’anteprima del video del primo singolo, Black or White e, successivamente, una versione tagliata del concerto tenuto a Bucarest, una delle tappe del Dangerous Tour. Io e il mio videoregistratore eravamo in piena febbre da Jackson.
Sempre durante il periodo delle VHS, parliamo della metà degli anni novanta, venni in possesso di History on Film, mini-collana composta da due videocassette contenenti una serie di videoclip di Michael. La prima includeva i video più famosi del passato, la seconda quelli inediti relativi ai brani del nuovo cd (History, appunto). Nel contempo, un’ottima cassetta bootleg di brani mixati e rielaborati, Remind the Remix, diventava a me familiare e piacevole da ascoltare.
Poi più niente.
Invincible, l’album del 2001, ed i successivi progetti (inclusi gli album postumi) mi sono passati accanto senza lasciare in me traccia o ricordo rilevante. Fino a quando non ho ripreso a documentarmi e a scoprire che c’è un’infinità di materiale, più o meno ufficiale, che descrive in maniera dettagliata ad esauriente la carriera di questa Icona del Pop.
Perchè, aldilà degli scandali personali, delle sue manie opinabili e dello stile di vita bizzarro, Michael Jackson resta un’Icona. Per la musica, un Immortale. Michael Jackson resta il Mito.