Dal Blog “Quasi rete”
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di Frank Parigi
Sono passati 35 anni da quella lontana estate. Erano i giorni del temuto “sorpasso” dei comunisti alle elezioni. Figurati…
Si giocano gli Europei in Jugoslavia dove c’è ancora il maresciallo Tito.
Alla finale sono arrivate la Germania Ovest (oltre a Tito c’è ancora anche il muro…) e, fra la sorpresa generale, non l’Olanda, ma la Cecoslovacchia allenata da Vaclav Jezek, un uomo di poche parole e di idee chiare.
La sua Nazionale è tosta come poche, pochi fronzoli, nessuna concessione ai ricami del calcio danubiano: corsa, applicazione, velocità, resistenza sono le qualità di questa squadra. “C’est une équipe en beton…” la descrive così Michel Hidalgo neo C.T. della Francia, quando la vede giocare.
“Una squadra di cemento armato”, dunque che in semifinale schianta nientemeno che l’Olanda di Cruyff (3-1 ai supplementari) e che ora sta giocando la finale con la “solita” Germania arrivata in finale trascinatavi da Dieter Muller, giovanotto del Colonia che esplode letteralmente con una tripletta nella gara contro la Jugoslvia.
Il pronostico della vigilia sembrava segnato: i tedeschi erano Campioni d’Europa e del Mondo in carica, Beckenbauer era ancora “der kaiser Franz” e con lui sarebbero scesi in campo altri otto Campioni del Mondo: Maier, Vogts, Breitner, Schwarzenbeck, Bonhof, Wimmer, Hoeness e Hoelzenbein.
Proprio lui Bernd Hoelzenbein, “gamba di legno”, ha appena salvato la Germania da una meritata sconfitta. In mischia, su angolo, è riuscito a svettare fra i giganti della difesa ceka e a battere Ivo Viktor. 2-2 in extremis dopo l’uno-due iniziale di Dobias e Svehlik e il gol di Muller che, insieme all’abile direzione del nostro Gonella, aveva tenuto in partita la
Germania.
Holzenbein, evidentemente, è l’uomo delle ore disperate, due anni prima aveva conquistato, meglio, inventato, il rigore del pari con l’Olanda.
Il risultato è bugiardo, la “ceka” avrebbe dovuto e potuto chiudere prima la partita che ora
si deciderà, per la primissima volta nella storia del calcio internazionale, ai calci di rigore.
I calciatori cecoslovacchi sono implacabili: quattro tiri, quattro centri, mentre per i tedeschi ha fallito clamorosamente Uli Hoeness sparando alle stelle.
Sul dischetto, in un silenzio irreale, si avvia ora, senza fretta Antonin Panenka.
Nella squadra di cemento armato lui è una margherita spuntata in una crepa, un artista di strada. Gioca, ironia della sorte, nel Bohemians di Praga, squadra di secondo piano, e del “bohemien” ha tutto: mentalità, aspetto fisico.
Nel suo club porta la maglia, di diverse misure più grande sopra i pantaloncini, i calzettoni arrotolati sulle caviglie, in Nazionale cerca, senza riuscirvi sempre, ad essere più ordinato.
Ha le gambe “a tarallo”, baffoni spioventi, capelli disordinati, corre su due linee incrociate tanto pronunciato è l”arco delle gambe.
Piazza con cura il pallone a undici metri da Maier che, piegato sulle ginocchia, le gambe ossute piegate, gli occhi chiari e freddi puntati sul pallone, è una molla carica.
Quando Gonella fischia, Antonin Panenka resta fermo per una frazione di secondo, poi trotterella verso il pallone.
Sepp Maier sposta il peso da una gamba all’altra e quando il ceko è sulla palla, parte una frazione di secondo in anticipo.
Quando atterra sulla sua sinistra alza disperatamente la gamba destra verso il pallone ormai imprendibile che, beffardo, “prilla” in aria, leggero come il volo di una farfalla.
La Cecoslovacchia è Campione d’Europa e l’Eurovisione ha appena trasmesso il primo cucchiaio calcistico a livello internazionale.