Tangenze, contesti, usi, costumi.
Uno sguardo veloce dato alla 54° Biennale d’Arte di Venezia del 2011 ci fa’ notare che alcuni artisti hanno proposto l’ abito inteso non come “oggetto” da indossare, cioè oggetto con il quale coprire il corpo ma quale elemento caratterizzante un Comportamento o un Opera[1]. Ognuno secondo riflessioni prettamente personali.
Dalla riflessione sulla fragile ma invincibile essenza della femminilità in chiave ironica nasce l’opera di Resi Girardello. Un lavoro a metà tra moda e scultura.
Le sue produzioni possiedono un duplice carattere: sono abiti, corpetti, pantaloni, top, che a prima vista tutti vorremmo indossare magari in occasione di un evento importante, per il gusto di stupire i presenti, considerando la vena stilistica alquanto barocca delle sue creazioni (ecco qui il carattere moda), ma a guardarli bene questi “manufatti” risultano poco pratici, si direbbe indossabili (ecco qui il carattere scultoreo), poiché possono essere solo ammirati in quanto opere tridimensionali attorno alle quali fare un giro per ammirarne il verso e il recto[2] .
Risveglio del corpo celeste è il titolo dell’opera presentata alla Biennale (foto 1) opera con la quale, insieme ad atri artisti, la Girardello si confronta sul tema dell’identità nazionale locale. L’opera è esposta anche all’interno della nave da crociera Costa Luminosa secondo un progetto che segue la linea di un’ «arte totale[3]» un coinvolgimento artistico in cui design e opere d’arte si fondono insieme (ma più corretto sarebbe parlare di “belle arti”. Non vi pare?). Alta 180 cm, questa scultura in filo di rame tessuto all’uncinetto composta da top e pantalone caratterizzato nella sua parte inferiore non da semplice orlo ma da un vorticoso gioco di spirali che tramite torsione trasformano le “gambe” in tentacoli che “armoniosamente” ed “equamente” (si faccia attenzione, non stiamo parlando di Classicismo) si distribuiscono ai lati della scultura, è un “corpo vuoto” che auto-reggendosi ci mostra la sua forma attraverso la sua stessa assenza in un rapporto di totale dipendenza con la luce.
Filo di ferro, di rame, lamine metalliche lavorati a maglia sono i materiali caratteristici della Girardello, che interpreta il versante soffice della scultura contemporanea con originalità e gradevole humour. Tutto secondo un revival tipicamente baroccheggiante.
Cosa dire invece dell’opera Pynandi, (Ni Puta, ni Diosa, ni Reina) (Foto 2) di Claudia Casarino[4] esposta all’interno del Padiglione America Latina IILA[5] ?
Semplicissima veste bianca. A Lei interessa molto di più il modo in cui il corpo femminile è stato trattato dalla stampa popolare, dai mezzi di comunicazione, il modo in cui è stata espressa la fantasia e il desiderio maschile, piuttosto che una realtà più prosaica della femminilità. Secondo la Casarino quello che manca al corpo è la sua “presenza”, perché quotidianamente questo è vestito di tutti gli ornamenti della moda.
Storicamente, raramente le donne sono state rappresentate come loro stesse; i loro corpi sono scomparsi sotto strati di trucco o indumenti, sono stati deformati in figure: seni giganteschi, pance e teste minuscole, gambe slanciate e filiformi, glutei rassodati, tutto studiato per garantire la “forma perfetta”. Oggi, nell’era post human molto più di prima.
Dimenticavo: in entrambe la trasparenza è di casa… L’avevate notato?
[1]Cfr. Claudio MARRA, Nelle ombre di un sogno: storia e idee della fotografia di moda, Milano, 2004, pp. 25-30.
[3]Cfr. Costa Crociere
[4]Cfr. http://www.claudiacasarino.com/ .