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Modernità di Menandro - terza parte

Creato il 04 agosto 2010 da Sulromanzo
Modernità di Menandro - terza parte Di Adriana Pedicini
Comicità in Menandro
Altro argomento da non sottovalutare, almeno nella scelta di Menandro, è la presenza di oggetti comuni, la cui perdita costituiva per i personaggi della commedia un motivo di disperazione e di maggiore esasperazione. Essi, indispensabili per la vita di campagna, avevano una loro utilità ed un prezzo che spesso i contadini non potevano permettersi di sborsare. Sentiamo con quanto sconforto e disperazione la figlia di Cnemone, individuata nella commedia solo con l’appellativo “kore”, si presenti sulla scena, mentre Sostrato, l’innamorato, è completamente fuori di sé, abbagliato dalla sua bellezza:
“Povera me, che guaio. Non so che fare: la nutrice ha fatto cadere il secchio nel pozzo”.
La giovane, in preda alla paura, già presagisce quello che succederà, quando il padre, il Duskolos, da lei con linguaggio infantile affettuosamente chiamato “pappas”, verrà a sapere che la schiava ha fatto cadere il secchio nel pozzo. Ella non bada tanto al secchio ed al suo valore, quanto, piuttosto, alle ire del padre, che, certamente, avrebbe dato una buona dose di legnate alla povera malcapitata.
“Se lo viene a sapere, l’ammazza di botte. Carissime Ninfe, non possiamo perdere tempo: pensateci voi. Mi vergogno di disturbare; magari dentro stanno facendo un sacrificio… Sì per gli dei… Povera me, chi ha aperto la porta? È forse mio padre? Se mi trova fuori prenderò botte”.
Da queste poche battute emerge tutto il complesso mondo della campagna, che il cittadino di Atene e di qualsiasi altra città greca certamente derideva per l’arretratezza e la goffaggine della situazione. Se ad Atene c’era acqua corrente, e le vie erano adorne di fonti anche artisticamente decorate, nelle campagne i contadini, anche i più abbienti, dovevano attingere dai pozzi l’acqua sia per bere sia per tutti gli altri bisogni, non escluso quello di abbeverare gli animali. A questo compito, di solito, era deputata la schiava, la donna che inoltre aveva il gravoso compito di accudire la figlia di famiglia, la fantesca che le impartiva i primi rudimentali insegnamenti e, nell’assenza dei genitori, quando era cresciuta, la sorvegliava. Non a caso la figlia di Cnemone, impaurita esclama:
“Prenderò botte, se mi sorprenderà fuori”.
Si evince che alla ragazza non importa molto del secchio; le preme più non essere sorpresa fuori dal padre: sa, infatti, che il secchio, pur importante e di un certo valore, passerebbe in secondo piano se il padre la trovasse fuori casa. Pur cosciente che in casa non si può stare senza acqua e che non si trasgrediscono gli ordini, al ritorno del padre preferisce non essere trovata fuori casa, pena scatenare le sue ire, e prenderne di santa ragione. La morbosa gelosia del genitore al quale più che la felicità della figlia stava a cuore la sua personale onorabilità è indice di una mentalità rozza e di una cultura inesistente. A Cnemone, come già è stato accennato, preme la sua personale tranquillità, e che la ragazza, sorvegliata dalla nutrice, viva in casa e non commetta sciocchezze, amoreggiando con sconosciuti: un’improvvisa ed imprevista gravidanza, infatti, le comprometterebbe per sempre sia la reputazione, sia la futura sistemazione matrimoniale. Lo stato di agitazione e di timore, normale per una rozza ragazza di campagna, doveva essere, all’epoca di Menandro, motivo di riso e comicità. Ma nonostante la sorveglianza, la ragazza è riuscita ad uscir di casa ed incontrare l’uomo, che, per volere di Pan, si innamora di lei, situazione di sicura comicità, dal momento che agli spettatori è nota l’assoluta ignoranza del fatto da parte di Cnemone.A questo episodio si aggiunge dapprima il tentativo della schiava, poi quello del padrone stesso, di recuperare, mediante una zappa legata con una corda, il secchio in fondo al pozzo; ma la serva, maldestra, perde anche la zappa. Il Duskolos non ha miglior successo: nel tentativo di recuperare quanto perduto dalla fantesca, precipita anche lui nel pozzo, dal quale viene estratto con l’aiuto del figliastro Gorgia e di Sostrato, il giovane cittadino. 
Era più che normale, considerato il valore del secchio, nonché la sua utilità, che la schiava prima e Cnemone poi si adoperassero a recuperarli nei modi consueti, rimasti in vigore, almeno nelle zone della Magna Grecia, fino ad una quarantina d’anni fa. Era, questa, un’operazione difficile e rischiosa, nella quale, se non fosse provvidenzialmente intervenuto Sostrato, il povero malcapitato ci avrebbe rimesso anche la vita.Il procedimento di pescaggio, semplice ed elementare, consisteva nel legare una zappa a una corda e lasciarla scendere nel pozzo, poi con movimenti lenti cercar di agganciare il manico del secchio e tirarlo su. Ma spesso, se non legata bene, insieme con il secchio in fondo al pozzo finiva anche la zappa, come ben evidenzia Menandro, che crea, con questi semplici elementi, una situazione di esilarante comicità. È l’implicito contrasto di due mentalità, di due culture, di due ambienti diversi, che suscitano il riso sulla bocca dell’Ateniese colto e raffinato, a seguito delle considerazioni che lo spettatore elabora, mentre sulla scena si avvicendano tipi e caratteri lontani ed estranei alla sua esperienza quotidiana. La comicità pertanto è favorita dal confronto e dall’opposizione costante, almeno nella sensibilità dello spettatore, di due realtà antitetiche, radicate nella stessa terra, magari non molto lontano da Atene. Tuttavia lo spettatore non si troverà mai di fronte a situazioni fantastiche o irreali fornite di una vis comica eccezionale: le commedie di Menandro sono serie, profonde nella psicologia e sicuramente più vicine allo spirito della tragedia che non alla commedia aristofanea.Il fine, come appunto nella tragedia euripidea, è quello di educare in un momento di confusione morale, politica e militare: trovare altri valori che orientino la vita di ciascuno ora che concetti come patria e religione sono svuotati del tradizionale significato.

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