Il giudizio di Antonio Valerio Spera
Summary:
Quando il talento è limpido, si riconosce immediatamente. È successo così nel 2009, quando l’appena ventenne Xavier Dolan presentò alla Quinzaine des Realisateurs la sua opera prima J’ai tué ma mère. Una commedia dalle tinte drammatico-psicologiche davvero folgorante, che nonostante la pochezza dei mezzi a disposizione, dimostrava oltre ad una fine scrittura, un’originalità e una personalità registica sopraffina. La carriera di Dolan è iniziata lì ed è continuata con altri tre film (due sempre a Cannes, in Un Certain Regard, l’altro a Venezia, in competizione), anch’essi ammalianti e sorprendenti come il primo, ma sempre diversi l’uno dall’altro.
Mommy, presentato in concorso a Cannes 2014, non solo conferma il talento e l’eclettismo del giovanissimo regista canadese, ma ne sancisce la sua clamorosa maturità. E’ un’emozione continua questo film, un turbine senza sosta che coinvolge, sconvolge, lascia senza fiato, non tanto e non solo per ciò che racconta, ma per come lo fa. Il film stupisce sin da subito, dalla prima inquadratura, quando ci si rende conto che assisteremo ad un film girato nell’insolito formato 1:1. Già nell’ultimo Tom à la ferme l’autore aveva osato trovate in questa direzione, ma qui si supera, e questa scelta visiva che potrebbe apparire come un vuoto, esagerato, presuntuoso esercizio formale, è in realtà funzionale ai contenuti e alle sensazioni messe in campo.
Xavier Dolan – Path – Mommy © FDC / C. Duchene
La ristrettezza del formato è infatti l’espressione visiva dell’insoddisfazione dei tre protagonisti: una mamma single e senza lavoro, un figlio disturbato appena uscito da un riformatorio e la loro vicina di casa incapace di ripartire dopo un terribile lutto. Lo sguardo su questi personaggi è quindi all’inizio limitato e proporzionato alla natura della loro esistenza, senza orizzonti, senza sogni, apparentemente senza un futuro sereno. Ma man mano che queste anime (ri)entrano in sintonia tra di loro e con loro stesse, man mano che si riappropriano della loro vita riempiendola di speranza, lo sguardo di Dolan deve adeguarsi e lo schermo allora si allarga magicamente.
E’ sbagliato svelare questo colpo di scena “visivo” della pellicola, ma allo stesso tempo è necessario. Perché solo citandolo ci si può rendere conto della forza emotiva di questo film. Essa infatti non risiede esclusivamente nella descrizione della difficile relazione tra i protagonisti, ma anche nelle scelte visive con cui esse vengono cristallizzate sullo schermo. Guardando Mommy ci si commuove non solo per i momenti intensi tra madre e figlio, ma anche per uno stacco di montaggio, per una carrellata, per un primo piano, per un improvviso cambio di formato. Rimangono nel cuore i balli in casa, le proiezioni oniriche dei personaggi, le scene di “dolce violenza”, i continui momenti musicali. Ma ciò non sarebbe possibile se Dolan non fosse un regista sempre alla ricerca di sorprese, novità, innovazione, sperimentazione. E la potenza del suo cinema va rintracciata proprio nella facilità con cui la storia raccontata e le emozioni che la caratterizzano riescono a non farsi mai sovrastare da questa costante ricerca, dalle ardite scelte registiche. Anzi, quest’ultime risultano un mezzo per scavare ancora di più nella materia filmica, per valorizzare le splendide interpretazioni (in questo Anne Dorval, Suzanne Clément e il giovane Antoine-Olivier Pilon sono straordinari), per creare pathos.
Xavier Dolan con Mommy si dimostra così nuovamente uno dei più eleganti e profondi indagatori dell’animo umano e firma uno dei film più belli degli ultimi anni. Un’opera che decolla dopo pochi secondi e non concede mai discese di intensità e di poesia. Un capolavoro che merita di passare alla storia.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net