Cinque film a soli 25 anni. Dal 2009 ad oggi praticamente uno l’anno. Roba che in confronto a lui l’ormai ex astro splendente del cinema francese Francois Ozon è un pivellino. Xavier Dolan è senza dubbio il vero enfant prodige del cinema mondiale.
Xavier Dolan è garanzia di qualità, sorpresa, estro creativo. Forse anche troppo. Con il pur bellissimo Mommy si ha infatti l’impressione che il giovane regista canadese tiri un po’ troppo la corda, dia ampio respiro e libero sfogo alla sua indomabile creatività registica che vuole provocare e stupirci continuamente. Classe 1989, Dolan ha talento da vendere almeno ad un’intera generazione futura di registi, è maturo come un maestro del cinema lo è a sessant’anni. E’ quindi qualcosa di mai e poi mai visto prima nel cinema mondiale. Ma forse è maturato troppo in fretta, con un leggero deficit in disciplina.
Mommy porta sul grande schermo la storia di un trio di personaggi che la società non accetta. Diane è una mamma single, o meglio vedova, tutta jeans attillatissimi, occhiali da sole anche d’inverno, che non ci pensa su due volte a calare giù una parolaccia quando (non) ci vuole. Suo figlio Steve è sostanzialmente matto da legare, ha una malattia mentale che lo fa essere molto violento, iper-attivo, perdendo il controllo molto facilmente, assolutamente ingestibile. Diane decide di tenere Steve con sé, lontano da centri sociali o istituti ad hoc. A loro si aggiunge la vicina di casa, Kyla, balbuziente ed instabile maestra di liceo in anno sabbatico, che entra in contatto con mamma e figlio in seguito ad una loro furiosa discussione casalinga. Tra i tre ne nasce un ricerca di equilibrio, dove l’uno sembra supportare l’altro. Ma sopportare l’invadenza di un figlio come Steve non basta. Come dice uno dei personaggi all’inizio: “l’amore non salva…”.
Mommy è un uragano che subito ci cattura, anche con una certa vena comico-caricaturale dei suoi personaggi borderline e senza filtri tra pensiero e parola. Un montaggio serratissimo, una fotografia straordinaria, una colonna sonora che sa unire poesia e indole commerciale, Colorblind dei Counting Crowns a Blue degli Eiffel 65. Una storia drammatica, disperata, a tratti dolce, a tratti spietata, sull’amore tra una madre e un figlio e l’incapacità del cuore di gestire la mente, o meglio una patologia mentale che affossa chi ne soffre e chi gli sta intorno.
La provocazione più grossa Dolan la fa nel formato usato per gran parte del film. Per tutta la prima e ultima parte lo schermo è ristretto ad un quadrato che isola il centro dello schermo. Ai lati nero. Dolan vuole farci percepire la ristrettezza non solo mentale dei suoi protagonisti. Una claustrofobia geometrica che viene letteralmente allargata dalle mani di Steve quando le loro vite, da un certo punto di vista una unica, sembrano aver trovato uno spiraglio di equilibrio e di felicità. Poi la parabola riprende il suo pendio discendente e i 16:9 faticosamente conquistati tornano a contrarsi.
Mommy è un gran bel film, che avrebbe tutte le carte in regole per essere un capolavoro se l’ansia fin troppo autoriale di Dolan non debordasse dai bordi dello schermo. La visionarietà del regista canadese è impressionante, ma complice la giovane età deve ancora trovare una via giusta, più definita, più quadrata potremmo dire ricordando il formato usato. Ma è anche vero che a 25 anni un talento così non si era mai visto. E allora bando ai puntigli. Il ragazzo, che già è grande, si farà. E forse non ci resta che applaudire.
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