I rapporti tra le banche e la politica dagli anni 30 hanno condizionato l’economia italiana, dal caso del Banco di Napoli fino ad arrivare all’ultimo scandalo, la Monte dei Paschi di Siena.
Foto di Nicola Gesualdo
Dopo la doverosa prefazione nella prima parte dello speciale (leggi), si potrebbe pensare che il rapporto tra la politica e le banche si riduce ad un mero rapporto normativo, in cui le banche, godendo di piena autonomia, sfruttano tale posizione per distaccarsi dalle decisioni politiche. Così non è, e la testimonianza di ciò si ha proprio in questi giorni con lo scandalo della Monte dei Paschi di Siena (Mps).
La Mps è stata descritta, dagli addetti ai lavori, come una mela marcia, come un caso isolato della cattiva amministrazione di quella specifica banca. Non è proprio così, il legame che vige tra banche e politica va avanti ormai dagli anni 30.
A testimonianza di ciò il caso del Banco di Napoli con il sussidio diretto del tesoro o il Banco di Sicilia e il Banco di Sardegna, dove si è proceduto favorendo l’acquisizione della banca dissestata da parte di un’altra in migliori condizioni.
Proprio sulla spinta delle regole europee pro-mercato, si decise di trasformare le banche pubbliche, Casse di Risparmio incluse, in società per azioni e di privatizzarle. Era il modo per mettere una diga tra finanza e politica che si erano sovrapposte ed intrecciate a lungo, alterando non poco il flusso dei finanziamenti ai settori ed imprese più profittevoli fino a compromettere la stessa stabilità del sistema creditizio.
L’idea era ottima, ma purtroppo, ad agire era la classe politica italiana, la stessa che governa questo paese da 20 anni. Anziché cedere le partecipazioni sul mercato ad acquirenti che attingevano al proprio patrimonio per esercitare il governo di quelle organizzazioni, assumendone in proprio il rischio e anche l’eventuale profitto, si decise di creare padroni fittizi: le fondazioni di origine bancaria.
Un dato sconvolgente conferma questo stretto legame tra banche e politica: non meno del 30 per cento dei membri dei consigli d’amministrazione delle fondazioni sono politici di professione, con forti concentrazioni al Nord, addirittura due terzi vengono nominati direttamente o indirettamente dalla politica locale.
Ma l’intreccio malsano fra politica e affari si ha proprio a causa delle fondazioni bancarie, inventate con la legge Amatonumero 218 del 1990.
Nel caso del Monte dei Paschi, dove 14 consiglieri su 16 sono di nomina politica, due terzi delle poltrone ai vertici sono oggi occupate da politici. In non pochi casi, come in quello di Mussari, ex presidente della MPS, la carica nella fondazione è solo il primo passo per la nomina ai vertici della banca “conferitaria”.
Due filoni nel mirino dei magistrati: l’acquisizione di Antonveneta e le operazioni sui titoli tossici della banca. L’ipotesi di tangenti e le indagini sui manager dell’istituto. Falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza i reati ipotizzati.
La fondazione del Monte dei Paschi, creata con la legge Amato, è controllata con una maggioranza assoluta dal comune e dalla provincia di Siena, i quali, a loro volta, sono tradizionalmente sotto il controllo stretto e tenace del partito di maggioranza locale, un tempo il Pci, poi diventato Ds e ora Pd.
Giuseppe Mussari, al vertice della fondazione e poi della banca senese, è stato messo proprio dal Pd.
Prima della legge Amato, le nomine delle casse di risparmio e nelle banche pubbliche erano effettuate col controllo del Parlamento e della Banca d’Italia.
La legge Amato invece che privatizzare le banche, di natura pubblicistica, facendone soggetti di mercato, eventualmente di economia mista, vincolati al controllo degli azionisti e della Borsa, le ha rinchiuse nel dominio del ceto politico locale con l’istituto non trasparente e non contendibile della fondazione: un ibrido dotato dello strumento della elargizione benefica.
Dietro la vicenda Mps sembrano celarsi molti più altarini di quelli che fin ora sono emersi: il legame, oltre che con il Pd, anche con il Pdl, in particolare con Berlusconi e Denis Verdini.
Il Monte dei Paschi di Siena sembra che abbia accompagnato Berlusconi nei primi passi, assieme a Marcello Dell’Utrinei cantieri milanesi fino agli ultimi bonifici misteriosi, sempre a Dell’Utri, alla vigilia della condanna dell’amico siciliano di sempre. “Grazie a Mps – ha ammesso il Cavaliere – potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Erano due le banche (Bnl e Mps, entrambe con presenze della massoneria nei vertici) che finanziavano in quegli anni generosamente il Cavaliere.
Nel frattempo da Davos sulla vicenda Mps è intervenuto anche Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, il quale ha assicurato che non c’è “alcun dubbio sulla stabilità di Banca Mps. Su Mps – ha proseguito il governatore – Bankitalia non ha nulla da nascondere”. “Sbaglia – ha sottolineato Visco – chi adombra mancanza di supervisione” da parte della Banca d’Italia.
L’attuale presidente della Mps, Alessandro Profumo, ha affermato: ”La situazione è assolutamente sotto controllo” - parlando all’assemblea degli azionisti ha aggiunto – ”dall’aprile scorso, quando si è insediato, il cda sta lavorando intensamente”. Il Monte ”rappresenta una grande azienda del Paese, con 31.000 dipendenti e 6 milioni di clienti”. In seguito Profumo ha letto per gli azionisti il comunicato ufficiale emesso dal Cda, in cui si esprime ”sconcerto per la strumentalizzazione e gli attacchi alla banca”.
Sicuramente la strumentalizzazione politica sta avendo la meglio. Monti ha dichiarato che sulla vicenda Mps un ruolo centrale lo hanno avuto anche i vertici del Pd che avevano “influenza sulla banca attraverso la sua fondazione e il rapporto storico con il territorio culturale e finanziario senese”.
Per Monti il problema più grande resta “quella brutta bestia che è la commistione tra banca e politica” che va sradicata perché in Italia per decenni con una lottizzazione delle banche da parte dei politici si è arrivati a tutto questo. “Non sono mica qui per attaccare Bersani” ha detto Monti “ma per attaccare molto decisamente il fenomeno storico della commistione tra banche e politica che va ulteriormente sradicato”. ”Ho indagato sulle commistioni da Commissario Ue e in Italia mi sono sempre molto occupato di questioni bancarie da studioso e ho sempre fatto raccomandazioni contro la commistione tra le banche e la politica” ha spiegato poi il Premier discolpando il suo governo.
Fa effetto ascoltare queste parole di rigetto nei confronti del legame tra banche e politica da parte di Mario Monti, che è stato international advisor per Goldman Sachs, una delle più grandi banche di affari nel mondo, e precisamente membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute.
Dopo le dure accuse di Monti il Pd sembra volersi lavare le mani, il responasibile economico del Pd afferma: “La magistratura deve fare il suo corso, le responsabilita’ sono di chi ha gestito la banca”, continua difendendo anche il sistema delle fondazioni ma, rileva, a Siena c’e’ stato un “eccesso di localismo. Una incapacita’ di chi ha gestito la Fondazione e la banca di riconoscere che il mondo era cambiato e che la fondazione non poteva continuare ad avere la maggioranza di una banca che aveva bisogno di allargarsi e di trovare alleati”.
A rendere ancora più oscuro il mondo della finanza ci ha pensato la sentenza della Corte di giustizia Europea che ha ha vietato ad una giornalista britannica, Gabi Thesing, la possibilità di recepire dei documenti relativi alla crisi economica in Grecia.
Tutto ciò è accaduto nel luglio del 2010, quando la giornalista, che lavora presso la Bloomberg Finance LP, ed esercita le proprie attività a Londra con il nome Bloomberg News, ha chiesto alla Bce l’accesso a due documenti intitolati. Proprio Il Komboloi si è occupato di tale vicenda (leggi)
Visto il rifiuto della Bce di fornire tale documentazione, a quanto pare per tutelare l’interesse pubblico riguardante la politica economica dell’Unione europea e della Grecia, la Thesing ha deciso di rivolgersi al Tribunale.
Appare necessario completare il processo di privatizzazione del sistema bancario iniziato nel 1990 portando a compimento la separazione tra banche (e finanza più in generale) e politica.
Occorrerebbe in Europa un governo europeo che fosse in grado di servirsi della sua moneta forte, rafforzando con una politica macroeconomica europea una economia debole (il contrario di ciò che fa l’America).
L’euro doveva essere un franco forte, niente di più. Invece è diventato una moneta mondiale, con sede a Francoforte. L’euro può essere molto più di una moneta. Del resto, la Moneta è per sua natura, nella storia, molto più di una semplice moneta. È parte integrante della identità di una nazione. Fino a ieri non era possibile pensare la Germania senza il marco, la Francia senza il franco, la Grecia senza la dracma e persino l’Italia senza la sua liretta, alla quale si rivolgono oggi insospettabili nostalgie.
È propriamente il primo vero investimento politico costituente di una nazione europea, il primo passo della costruzione di una potenza europea con una forte vocazione riequilibratrice del disordine mondiale. Potremmo allora evitare che, come capita oggi, una parte importante delle nostre ricchezze, reali e potenziali, prenda la via del pianeta remoto ove gli imperscrutabili dèi della finanza presiedono ai nostri destini.