Posted 18 febbraio 2014 in Montenegro with 0 Comments
di Silvija Herceg
L’ondata di proteste che ha colpito la Bosnia ed Erzegovina nelle settimane scorse, sta facendo sentire i suoi effetti in misura e maniera diversa anche sui paesi balcanici circostanti. Dopo le manifestazioni di sostegno alle proteste bosniache che si sono tenute seppur in sordina in Serbia, sorprende quasi che siano i montenegrini a far loro l’eco di protesta ed occupare le strade della capitale Podgorica.
Nel pomeriggio di sabato 15 febbraio infatti, qualche centinaio di manifestanti ha imboccato le strade della capitale montenegrina organizzandosi in un corteo non autorizzato e guidato dagli amministratori della pagina Facebook “Rivoluzione in Montenegro – scendiamo tutti in piazza” che già il giorno precedente avevano annunciato apertamente che una manifestazione “sul modello bosniaco averebbe avuto luogo nella giornata di sabato, nella piazza di fronte al parlamento montenegrino”. La replica del modello bosniaco, se così lo si può definire, non si limita solo al veicolo usato per mobilitare i cittadini, ovvero la rete, ma anche nel tipo di tessuto sociale che ha preso parola attraverso la manifestazione, e per le richieste avanzate. A manifestare sono stati infatti per lo più pensionati e disoccupati che, uniti nel coro di “Milo, lopove” (“Milo, ladro”), chiedevano le dimissioni del premier Đukanovic, controversa e centrale figura della politica montenegrina e leader del partito social democratico (DPS), nonché una delle persone più ricche di tutta la penisola balcanica.
La protesta cominciata a mezzogiorno di sabato come manifestazione pacifica, seppur non autorizzata, è degenerata quando uno dei partecipanti ha tentato di rompere un cordone di polizia posto a una decina di metri dal palazzo del governo. Un ufficiale ha colpito il manifestante con il manganello, suscitando la reazione dei dimostranti che hanno reagito con una fitta sassaiola contro la polizia. Subito sul luogo sono giunti i rinforzi di altre unità speciali che con il lancio di fumogeni hanno costretto i manifestanti a riparare nel parco adiacente al palazzo del governo, ma che non hanno impedito lo scontro diretto tra polizia e dimostranti. Alla fine della giornata, tramite un comunicato, la polizia della capitale ha fatto sapere di aver arrestato 20 manifestanti, di cui 4 minorenni, ammonendo che il motivo del loro arresto è stato un tentativo (infruttuoso) di far disperdere i manifestanti che bloccavano le vie principali del centro della capitale. La giornata di proteste si è dunque chiusa con un bilancio di venti arresti, e nove ufficiali della polizia feriti in ospedale.
Dopo l’intervento della polizia, la “pace” è tornata sulle strade di Podgorica facendo rimbalzare le proteste sulla sfera politica, dove la causa dei manifestanti è stata difesa dal Demokratski Front (DS) o Fronte democratico del Montenegro, coalizione di quattro partiti guidata da Miodrag Lekić, ex ambasciatore jugoslavo in Italia, che oggi ha pubblicato sul proprio sito un comunicato sugli eventi di sabato accusando la polizia di “uso eccessivo della forza e arresto di manifestanti pacifici” chiedendo pubblicamente il rilascio immediato dei soggetti trattenuti in maniera illecita.
Che la manifestazione abbia un seguito o no, è simbolica la richiesta di un’inversione di rotta generale per il Montenegro, paese di circa 620 000 abitanti che “vanta” il terzo debito pubblico più alto della regione, che ammonta al 58% del PIL. L’economia, sostenuta principalmente dagli investimenti esteri (prevalentemente russi) e dal turismo, ha subito inoltre un duro colpo nell’estate del 2013 quando il governo ha dovuto avviare la procedura di fallimento per il Kombinat Aluminijuma Podgorica – KAP (Impianto di Alluminio di Podgorica), ex gigante dell’economia del paese. Il caso del Kombinat coinvolge indirettamente anche l’Italia dal momento in cui due giorni prima delle proteste Đukanović aveva richiesto che la A2A, compagnia bresciana, continuasse nel suo piano di rifornimento energetico dello stesso impianto, i cui debiti ammontano ormai a 70 milioni di euro.
Che le proteste dello scorso week-end abbiano seguito o meno, nelle strade o tra i banchi parlamentari, rimane certo il fatto che lo strapotere di Đukanović sembra cominciare a vacillare dopo quasi 24 anni di dominio politico in Montenegro, più volte criticato sia dalle figure chiave del suo stesso partito e ora anche dai suoi concittadini.
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