Considerate le difficoltà che l’Italia ed altri Paesi europei stanno attraversando, il valore della visita di Mario Monti e Paolo Scaroni nella Federazione Russa in qualche misura esula dal protocollo delle ordinarie relazioni diplomatiche fra due Stati. Dal contagio dei mutui subprime del 2008 alle scommesse dei Credit Default Swaps sulla bancarotta di Atene, la storia recente ha ampiamente dimostrato l’influenza del contesto internazionale nell’innescare o nell’accelerare crisi di carattere sistemico. Per “rilanciare l’economia reale”, come più o meno tutti oggi affermano concordemente, non si può quindi che individuare proprio nella realtà internazionale (anche se presso soggetti radicalmente diversi da quelli che hanno concorso a provocare la crisi) gli stimoli per un’inversione di marcia. Può apparire come una sfortunata coincidenza, ma proprio quando il viaggio in Russia del Primo Ministro italiano e dell’Amministratore Delegato dell’ENI sembra infondere concretezza al proposito di sostenere gl’investimenti produttivi, il differenziale di rendimento tra BTP italiani e Bundes tedeschi risale ai massimi storici1. Con un po’ di malizia se ne potrebbe inferire che i famigerati “mercati”, alle cui esigenze di lucro pare si sia ufficiosamente demandato di arbitrare le politiche di bilancio, non sembrano gradire l’eventualità di emancipare lo sviluppo economico dal ricorso spasmodico al collocamento di titoli di Stato e all’acquisto di derivati finanziari.
Eppure, i risultati ottenuti dalla delegazione di imprenditori che ha accompagnato Monti in Russia si presentano come una ventata d’ossigeno per quell’economia italiana di cui si lamenta, da molti anni a questa parte, la mancata crescita in punti percentuali di PIL. Il 22 luglio a Mosca la società Selex Elsag, del Gruppo Finmeccanica, ha firmato un accordo con Počta Rossii (la rete postale della Federazione Russa), sulla base del quale saranno forniti, con la partecipazione di Poste Italiane, tecnologie digitali e strumenti logistici per il miglioramento del servizio postale in Russia2. Il gruppo Rizzani de Eccher ha ottenuto un finanziamento per la riqualificazione infrastrutturale dell’area adiacente allo stadio di Mosca3, mentre Techint E&C si è aggiudicato la costruzione di un impianto anti-inquinamento per la riduzione di anidride solforosa in Siberia4. Se naturalmente questi contratti non fanno da panacea per tutti i mali dell’Italia, è ragionevole ammettere che essi avranno però una ricaduta positiva per le imprese coinvolte, forse anche in termini occupazionali oltre che di reinvestimento degli utili. È altrettanto importante rimarcare che accordi di questo tipo non rappresentano una novità, bensì si inseriscono in un quadro di cooperazione italo-russa che è in continua crescita da quando il Cremlino è riuscito a rialzarsi dalla bancarotta del 1998. Le cifre ufficiali riguardanti il commercio con la Russia parlano infatti di un incremento costante del volume delle esportazioni nell’ultimo decennio5, indipendentemente dai governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia. Questo fatto costituisce una felice eccezione nell’andamento recente dell’economia nazionale, che dall’adozione dell’euro ha patito una tendenziale difficoltà nell’export, non potendo più fare affidamento sulla svalutazione della propria moneta. Le esportazioni delle PMI italiane verso la Russia, inoltre, non si sono quasi mai accompagnate alla delocalizzazione degli impianti produttivi, fenomeno solitamente associato all’ingresso in nuovi mercati. È lecito quindi ritenere che i legami con la Russia abbiano avvantaggiato gli stessi lavoratori italiani, nella misura in cui lo sbocco da essa rappresentato ha potuto mitigare le difficoltà di sostentamento per numerose imprese. Gli accordi stipulati il 22 luglio confermano che il commercio italo-russo resta oggi uno dei pochi punti di ancoraggio nel mare agitato della crisi. Lo testimonia, d’altronde, anche la recente pubblicazione di un poderoso e approfondito volume-guida per gli operatori economici italiani in Russia a cura dell’Ambasciata italiana a Mosca6.
Nella giornata moscovita della visita della delegazione italiana, la parte del leone è stata comunque giocata dal Cane a sei zampe. L’azienda fondata da Enrico Mattei dimostra ancora una volta di fungere da autentico apripista per i rapporti bilaterali con altri Stati, nello specifico tra Roma e Mosca, e di rappresentare un potenziale strumento di affermazione degli interessi nazionali nel loro insieme. La collaborazione tra ENI e Gazprom, di cui il progetto South Stream costituisce ormai il più noto esempio, si accompagna adesso ad un’intesa con un altro gigante locale: l’azienda petrolifera di Stato Rosneft. Il Vice-Presidente di quest’ultima, Igor’ Pavlov, e l’AD dell’ENI hanno siglato, alla presenza del Primo Ministro Medvedev, un Exploration Loan Facility Agreement. Si tratta di un contratto che precisa i termini del finanziamento e della partecipazione congiunta ad attività esplorative nel Mare di Barents e nel Mar Nero, portando ad attuazione una serie di accordi preliminari stipulati sempre a Mosca lo scorso 25 aprile. Già allora, commentando l’avvio della collaborazione con Rosneft, Scaroni aveva affermato che l’ENI ambisce a diventare “il primo partner della Russia nel mondo degli idrocarburi”7. La successione di progetti congiunti con Gazprom prima e con Rosneft adesso evidenzia il carattere programmatico e non estemporaneo delle relazioni costruite, parallelamente agli impianti e ai gasdotti, dall’Ente Nazionale Idrocarburi con le grandi compagnie russe. Vale la pena sottolineare, inoltre, la rilevanza geopolitica delle due aree coinvolte. La ricerca di giacimenti nel Mar Nero rafforza la presenza dell’ENI a Oriente del Mediterraneo e a ridosso del Caucaso, cioè all’interno quella fascia territoriale che funge da cerniera orizzontale tra l’Europa meridionale e l’Asia Centrale. Nella rappresentazione anglosassone (più specificamente, brzezinskiana), questa zona è stata ribattezzata Eurasian Balkans: definizione che ne esalta l’instabilità che può essere facilmente strumentalizzata dall’esterno, ostacolando così di fatto il lavoro dell’ENI (Iran docet). È invece proprio la stabilità regionale la condizione necessaria affinché il gruppo italiano operi con successo. Il progetto di prospezione nel Mare di Barents potrebbe inaugurare invece, in una prospettiva di medio-lungo periodo, l’inserimento dell’ENI all’interno di importanti dinamiche nell’Estremo Settentrione. La regione dell’Artico è infatti già divenuta una delle aree più contese del Pianeta, “in ragione non solo delle risorse energetiche e minerarie presenti sotto il pack, della sua particolare posizione geostrategica e degli effetti che il riscaldamento globale potrebbe produrre riguardo alla sua maggiore praticabilità, ma soprattutto a causa del ritorno della Russia quale attore globale”8. Secondo gli analisti Vagif Gusejnov e Aleksandr Gončarenko, al di là delle problematiche relative all’appartenenza giurisdizionale delle acque della regione, il fattore in grado di permettere l’affermazione della Russia – e correlativamente, si può aggiungere, dei suoi alleati – è la ricerca di innovazioni tecnologiche che consentano la piena valorizzazione delle risorse artiche9. Non è quindi fuori luogo osservare che la partecipazione dell’ENI all’esplorazione nel Mare di Barents consisterà proprio nel mettere a disposizione il proprio elevato contributo tecnologico e l’esperienza già maturata nell’offshore norvegese10.
Il 23 luglio Monti ha incontrato Vladimir Putin a Soči. Durante la conferenza stampa che ha fatto seguito al colloquio, il Presidente della Federazione Russa ha anch’egli sottolineato che la difficile congiuntura finanziaria dell’Italia non compromette le relazioni economiche bilaterali, confermando la vicinanza di Mosca ai Paesi in crisi. Putin ha voluto ripetere ancora una volta che il gasdotto Južnyj Potok (South Stream), definito “importante” dallo stesso Monti, sarà realizzato come previsto da ENI e Gazprom. L’unico momento di implicita ma palpabile dissintonia, in un incontro per il resto diplomaticamente cordiale, è emerso allorché si è toccata la questione siriana. A pochi giorni dal nuovo veto russo-cinese alle Nazioni Unite, Vladimir Putin ha riaffermato energicamente che l’estromissione forzata del governo di Damasco sospingerebbe ulteriormente il Paese vicino-orientale nel baratro della guerra civile. Monti ha augurato per la Siria “una soluzione consensuale, che ricalchi il modello libanese” e che sarebbe di difficile realizzazione “senza una partecipazione condivisa da parte della Russia in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU”11. Nel resoconto stilato dalla televisione “Pervyj Kanal”, a fronte di un sunto positivo dei punti affrontati in precedenza, il commento degli osservatori russi sul dossier siriano assume i tratti di una costernata constatazione: “L’Italia è parte della NATO e pertanto è costretta a dare ascolto (vynuždena prislušivat’sja) ai suoi partners d’oltreoceano”12. È chiaro che il proverbiale aplomb montiano non assolve di per sé il compito di “ridare credibilità internazionale all’Italia” se in Russia – uno degli Stati più importanti per l’Italia in tempo di crisi – si percepisce la politica estera di Roma come influenzata da cause di forza maggiore, più che motivata da interessi legittimi.
Nondimeno, prima di incontrare Medvedev e Putin, Monti ha concesso un’intervista al Primo Vice-Direttore dell’ITAR TASS Michail Gusman (trasmessa sul canale “Rossija 24” e pubblicata sulla “Rossijskaja Gazeta”)13, nel corso della quale sono emersi dettagli interessanti. Il professore di Varese non ha mancato di sottolineare il ruolo delle relazioni culturali come elemento vivificante del dialogo fra Italia e Russia. Nel ribadire il “carattere strategico” dei rapporti economici bilaterali, Monti ha inoltre ricordato la proposta, più volte avanzata da Vladimir Putin, di costituire uno spazio economico integrato da Lisbona a Vladivostok, auspicandone una discussione più approfondita in futuro. Si tratta di un riferimento tutt’altro che irrilevante, in un momento in cui la Russia si pone, insieme a Bielorussia e Kazakhstan, al centro di un processo di integrazione regionale quale l’Unione Doganale Eurasiatica. Alla luce dell’importanza già assunta dal mercato russo, questo nuovo organismo – il cui sviluppo è tuttora in fieri – merita di essere preso in considerazione come valido interlocutore da parte dei Paesi europei e dell’Italia in particolare. Grazie ad esso il commercio estero potrebbe infatti ampliarsi dai rapporti bilaterali al più vasto quadro di una cooperazione continentale. Si tratta di un processo lungo e complesso, ma che è necessario seguire con attenzione negli interessi stessi dell’Italia e dell’Europa, affinché l’adagio degasperiano “un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle prossime generazioni”, rammentato da Monti durante l’intervista, sia nutrito di contenuti reali. Qualora l’Unione Eurasiatica favorisse l’ascesa dei Paesi che lo compongono anche sul piano valutario e finanziario, in linea di principio non si può escludere che essi si evolvano non solo come mercato di sbocco sempre più vasto, ma anche come polo emergente capace di destinare investimenti diretti al nostro Paese.
Una delle precondizioni affinché possa verificarsi uno scenario di questo tipo è il conferimento di una dimensione propriamente politica ai rapporti con la Russia. Il commercio internazionale non può essere disgiunto dalla sicurezza e dalla stabilità geopolitica delle regioni del globo in cui esso si sviluppa. Se è vero che le relazioni economiche tra Roma e Mosca rivestono un “carattere strategico” universalmente riconosciuto, sono forse oggi maturi i tempi per valutare l’opportunità di affiancarvi un sostegno politico con esso coerente. Colmare il divario tra l’alto livello di cooperazione commerciale e la scarsa vicinanza nelle questioni internazionali rappresenta il principale compito che la visita di Monti e Scaroni in Russia implicitamente pone agli addetti ai lavori. Resta infatti una contradictio in adiecto il riconoscimento ormai condiviso della compatibilità tra gli interessi economici dei due Paesi e il loro quasi sistematico disallineamento sul piano geopolitico. Non si tratta, ça va sans dire, di iniziare a sostenere incondizionatamente una superpotenza in ascesa nella peggior tradizione del “posto al tavolo dei vincitori”, o se si preferisce dell’eventuale salita sul carro dei medesimi. Si tratta piuttosto di guardare anche da un punto di vista politico, senza pregiudiziali né partigianerie acritiche, verso quelle realtà emergenti che vanno consolidandosi a poche ore di aereo dal suolo nazionale. Ciò implica una riflessione critica da parte dell’intera classe politica, della diplomazia e delle istituzioni italiane, sui propri interessi nell’arena mondiale. È certo comprensibile che i margini di autonomia dell’Italia siano tuttora limitati dall’inserimento in un sistema di rapporti di forza di lunga data. Ma l’elaborazione di una strategia nazionale comprende in fondo l’appello ad una logica finanche elementare nel suo pragmatismo: se uno o più Stati esteri dimostrano stabilmente di apportare benefici al sistema-Paese, sarebbe sensato contrastare i tentativi di indebolirli e sforzarsi di far causa comune laddove potrebbero derivarne maggiori spazi di sovranità.