(The Monuments Men)
Regia di George Clooney
con George Clooney (Frank Stokes), Matt Damon (James Granger), Bill Murray (Rich Campbell), Cate Blanchett (Claire Simone), John Goodman (Walter Garfield), Jean Dujardin (Jean-Claude Clermont), Hugh Bonneville (Donald Jeffries), Bob Balaban (Preston Savitz), Dimitri Leonidas (Sam Epstein), Sam Hazeldine (Colonnello Langton).
PAESE: USA 2014
GENERE: Drammatico
DURATA: 118’
Sul finire della seconda guerra mondiale un gruppo di americani formato da architetti, studiosi e storici dell’arte è incaricato di attraversare l’Europa per recuperare le opere d’arte trafugate dai nazisti. Non sarà facile, e solo grazie all’aiuto di una bella doppiogiochista francese la missione diventerà un successo.
Tratto da una storia vera, raccontata nel libro omonimo di Robert M. Edsel, adattato con parecchie libertà da Clooney e Grant Heslov. È un film sul valore dell’arte e della cultura che ha il merito di raccontare (pur romanzandoli) eventi misconosciuti che tuttavia furono fondamentali affinché il patrimonio artistico europeo potesse giungere fino a noi. Conosciuto per la sua onestà intellettuale, Clooney fa un film meno americocentrico di quanto potrebbe sembrare: i primi responsabili della distruzione delle opere furono proprio gli americani bombardanti, mentre il presidente Roosevelt (probabilmente il più amato nella storia degli USA) non è proprio rappresentato come un simpaticone. Certo, da buon yankee non ce la fa proprio a non rappresentare i russi come cattivoni silenziosi e implacabili, ma in fin dei conti è un film più profondo di quanto ci si aspetterebbe a guardare il trailer. Salvate il soldato Ryan si basava sulla domanda “vale la pena sacrificare molti uomini per salvarne uno?”. Qui, col soldato Ryan (Damon) cresciuto, la domanda diventa “vale la pena sacrificare degli uomini per salvare l’arte”? Paradossalmente, vince Monuments Men: nel soldato Ryan il sacrificio era per evitare all’America una brutta figura (una madre coi 5 figli morti su 5), qui è per garantire al mondo il suo glorioso passato culturale. Riuscito a livello tematico, lo è un po’ meno a livello formale, tanto appare indeciso sui registri da adottare. L’alternanza tra dramma e risate non sempre funziona, e questo suggerisce ancora una volta che la commedia – tolti alcuni rarissimi esempi – non figura tra i modi possibili per rappresentare l’abominio dell’olocausto. Non mancano comunque scene da antologia: la trasmissione del disco al campo, l’incontro con l’SS “vestito” da contadino, il finale con flashforward nel 1977. Stereotipi hollywoodiani a palate, ma un’onestà di fondo che avvince ed emoziona. È interessante notare come, eccetto Le idi di Marzo, tutti i film di Clooney siano film ambientati nel passato ma stracolmi di agganci con l’attualità (in questo caso, il parallelismo è con la crisi odierna che porta ad ingenti tagli all’arte e alla cultura). Come se il bel divo fosse rimasto uno dei pochi a raccontare l’importanza del passato per comprendere il presente e, chissà, garantirsi un futuro migliore. Cast magnifico, regia classica e funzionale. Ottime musiche di Alexandre Desplat, abituale collaboratore di Wes Anderson. Stroncato dalla critica ma apprezzato dal pubblico.