Non solo l’Italia: è tutta l’Europa a soffrire della malattia cronaca dell’evasione fiscale. L’Unione perde ogni anni una cifra che fa molto Paperon de’ Paperoni: un trilione, ovvero mille miliardi.
Basti pensare che se si arrestasse basterebbero solo 9 anni per ripianare i deficit di tutti i Paesi che la compongono. L’Italia primeggia con i suoi 180 miliardi non incassati e un’economia ombra pari al 27% del PIL ma anche la Germania (16%) e la Danimarca non è che sorridano (17,7).
Il dossier è firmato dall’inglese Richard Murphy, economista e fondatore del centro Tax Reserach LLP. Gran parte dell’evasione viene da grandi e medie imprese con un meccanismo ormai assodato: apertura di sedi-gemelle in Paesi diversi dal proprio, dove le tasse sono leggere.
La formula più in voga si chiama “doppio whisky irlandese con sandwich olandese”: si procede con la creazione di una sussidiaria in Irlanda che incassa i profitti e poi li invia a una banca o a un’altra sussidiaria in Olanda dove non ci sono imposte sulle imprese e da qui i quattrini rimbalzano agli accomodanti Caraibi.
Lo stratagemma è stato già usato da Google, Amazon, Starbucks e Apple e a breve anche Martini-Campari, Nike, Speedo, Wolfswagen e Fiat Industrial approderanno in Olanda per lucrare ancora di più.
Google è sotto inchiesta in Gran Bretagna, Italia, Francia ed Australia: nel 2011 avrebbe risparmiato circa due miliardi di dollari imposte sul reddito, spostando profitti per 9,8 miliardi su una compagnia gemella nelle Bermuda.
La questione focale è che non si tratta di veri e propri reati secondo le aziende e anche secondo autorevoli giudizi. Uno dei principi fondanti dell’UE è la libera circolazione delle persone e dei capitali e quindi ogni imprenditore è libero di ridurre le imposte andando altrove. Certo rimane il dilemma morale ma non tange molto dei veri propri e propri squali della finanza.
Il commissario alla fiscalità Algirdas Semetas ha bollato queste manovre come uno scandalo e un attacco al principio fondamentale dell’equità. L’UE ha chiesto agli stati membri di creare una lista nera dei paradisi fiscali ma l’applicazione è problematica e tardiva, soprattutto se si pensa che alcuni paesi sono parte della Comunità stessa. E omologare le tasse è impresa titanica.
Fonte: Corriere della Sera