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Morire di famiglia (e di networks)

Da Aoirghe

 

Morire di famiglia. Morire di omertà, quando questa si lega di rapporti consanguinei e case con facciate bianche. Sembrava il Tennessee, dalle foto, e invece è Avetrana, pugno d’anime non lontano da Taranto. Sarah ci è morta, a quindici anni: assassinata alle spalle, strangolata, e poi gettata via tra poderi e campagne. La girandola psichedelica dei telegiornali mostra la cantina dov’è stata uccisa, mostra le vie assolate del paese con biciclette appoggiate ai muri, e poi lui, il mostro, lo zio omicida. E f orse è venuto il momento di spegnere la televisione. Forse sì, ora che abbiamo visto una madre ricevere la notizia del ritrovamento del corpo della propria figlia in diretta, il volto impassibile sventrato dalle telecamere, perché quando il dolore arriva come un calcio in bocca non si ha nemmeno la forza di voltarsi e rivendicare una qualsiasi forma di disperazione privata. Non ho molta voglia di scrivere, lo hanno fatto già in troppi: tutti prodigi di parole e stupore, tutti a trattare comunicazione e orrore con una notevole dimestichezza. Madri, padri, zii, cugine, badanti: ora che sappiamo, ora che Sarah è davvero un fagotto bianco in fondo a un pozzo, il circo mediatico dei protagonisti ha meno fascino. Molto di più adesso ce l’ha lui, Michele Misseri, il presunto omicida: carichi di nausea, carichi di vergogna, entriamo in Facebook e ne invochiamo la morte. Alcuni chiedono che sia torturato senza fine, tutti vogliono la pena capitale: una volta le folle si accalcavano nelle piazze per le impiccagioni, adesso gridano senza mezzi termini nei social networks, quando il colpevole non è ancora stato impiccato. Facebook vuole dare giustizia a Sarah Scazzi, uccisa a quindici anni da un uomo malato, da un mondo malato. Ma Facebook non le darà mai giustizia. A noi restano i suoi profili da sbirciare, le foto posate tra jeans e chioma bionda, e poi tutte queste pagine bianche da riempire d’odio. Facebook ci assorda di preghiere di morte e rigurgiti di sgomento: ci assorda e ci illude, s’inventa una condivisione che non c’è. Ognuno sta solo. Ognuno vomita su Avetrana e il suo Mostro, poi spegne il computer. Le coperte, a ottobre, cominciano a essere calde. Dormiamo. Il silenzio è di vetro crepato. Ma la cronaca ricomincia ogni mattina: ricomincia Sarah, ricomincia il Mostro, ricomincia il reality del web e della televisione. Quindi scusaci, Sarah: davanti al tuo omicidio invocano un altro omicidio. Intorno balugina una pagina affollata di partecipazioni, pubblicità, il bordo blu feisbukiano. Ognuno sta solo, con il suo pezzo di sconforto. Passo e chiudo.


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