“Nel lungo periodo saremo tutti morti”
Così John Maynard Keynes rispondeva a chi avanzava riserve sulla sostenibilità delle sue teorie.
Se il dibattito citato verteva su un piano squisitamente economico, noi italiani abbiamo talmente apprezzato il caustico cinismo dello studioso britannico da interpretare la sua frase in maniera molto estensiva, addirittura attribuendole connotati filosofici e trasformandola in un vero e proprio stile di vita.
Il disinteresse per il futuro, se non per quello prossimo, è uno dei tratti distintivi delle nostre classi dirigenti (specchio abbastanza fedele della società); d’altronde, se così non fosse, probabilmente non ci troveremmo nelle condizioni attuali.
Ad esempio, se si fosse pensato alle conseguenze, umane ed economiche, del non costruire a regola d’arte in zone sismiche, i terremoti in Abruzzo ed in Emilia non avrebbero provocato i danni che ad oggi stentiamo ancora a quantificare (leggevo che a fronte di 25 miliardi per la prevenzione ne saranno spesi oltre 130 per la ricostruzione); ma lo stesso potrebbe dirsi per l’alluvione a Genova, o per le frane di Salerno.
Se si fosse avuto un, anche leggero, senso di responsabilità, l’ultimo governo Berlusconi non avrebbe gettato la spugna dopo aver raggiunto i minimi storici di credibilità internazionale e solidità economica. Il vizio, peraltro, è alquanto vecchio e consolidato: dopo anni ed anni di inerzia e di piccolo cabotaggio, quando la situazione si fa critica, ecco arrivare i tecnici, rispondano essi al nome di Mario Monti o a quello di Carlo Azeglio Ciampi.
Se ci si fosse preoccupati di cosa sarebbe potuto accadere nel giro di qualche lustro, magari, prima di creare una montagna di debiti scaricandoli sulle future generazioni, tale scelta sarebbe stata meglio ponderata. Discorso analogo potrebbe farsi per i sindacati che, in materia, non sono secondi a nessuno: sono anni che scaricano la flessibilità richiesta dal mondo del lavoro su quelli che devono ancora entrarci.
Necessario corollario di questi atteggiamenti è l’emergenza, termine che siamo fin troppo abituati a sentire: emergenza rifiuti, emergenza alluvioni, emergenza occupazionale.
Certo, a governarle, le emergenze, noi italiani siamo i migliori, e, oltretutto, riuscire a sfangarla da una scarica di adrenalina paragonabile solo ad un gol di Inzaghi al ‘93; ma non è sempre detto che ci si riesca (lo spread è ancora tutto lì), o che lo si faccia in maniera “etica”, come il fulgido esempio della Protezione Civile targata Bertolaso ci ricorda.
Insomma, ci piaccia o no, il lungo periodo esiste, e va tenuto in considerazione prima di prendere qualsiasi decisione, figurarsi quelle strategiche, diversamente, moriremo di keynesismo.