di Valentina Magrin
IL BANCHIERE DI DIO – Roberto Calvi, ricordato da tutti come il “banchiere di Dio”, nel 1946, a soli 26 anni, entrò come semplice impiegato al Banco Ambrosiano (banca privata strettamente legata allo Ior del Vaticano) e col passare degli anni ne diventò presidente e amministratore delegato.
Tessera 519 della P2, dal 1968 entrò in affari con Michele Sindona.
Negli anni ’70 insieme allo Ior (allora diretto da monsignor Paul Marcinkus) intrecciò una fitta rete di società fantasma in paradisi fiscali: ricordiamo, ad esempio, la fondazione nel 1971 della Cisalpine Overseas Nassau Bank nelle Bahamas, che verrà indagatà per riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico.
In generale si può dire che i maggiori interlocutori di Calvi in quegli anni furono la P2, la mafia, il Vaticano, i servizi segreti deviati e la politica.Il Banco Ambrosiano era diventato il maggior strumento nazionale per il riciclaggio di denaro sporco. Tra il 1977 e il 1978 iniziarono però a emergere le irregolarità e l’Ambrosiano nel giro di pochi anni si trovò ad affrontare ben due crisi di liquidità, risolte grazie ai finanziamenti di Bnl ed Eni.
Ma nel 1981, quando scoppiò lo scandalo della P2, Calvi restò senza protezioni e, lasciato solo anche dal Vaticano e dallo Ior, venne arrestato e condannato per reati valutari.
LA FUGA– L’11 giugno 1982 Roberto Calvi, in libertà provvisoria in attesa del processo di secondo grado, lascia l’Italia e si rende irreperibile. Ad aiutarlo nell’impresa è Flavio Carboni, un finanziere legato a uomini politici ed esponenti della Banda della Magliana al quale il banchiere si era rivolto per risollevare le sorti del Banco Ambrosiano.
Il 17 giugno Graziella Teresa Corrocher, la segretaria di Calvi, si suicida gettandosi dalla finestra e lasciando un messaggio in cui maledice Calvi per il male fatto al Banco Ambrosiano.Il giorno dopo, alle 7.25 del mattino, il cadavere di Roberto Calvi viene trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Nelle tasche dei suoi pantaloni ci sono 5 chilogrammi di pietre e un documento intestato a Gian Roberto Calvini (ovviamente un falso). L’autopsia parla chiaro: si è trattato di suicidio. Ma col tempo inizia a emergere un’altra verità.
L’INCHIESTA INGLESE – Il 23 luglio 1982 la giuria del primo processo inglese per la morte di Roberto Calvi si pronuncia a favore della tesi del suicidio. Dopo il ricorso della famiglia del banchiere, però, un secondo verdetto sancisce l’impossibilità di stabilire le cause della morte. Nel 2003 l’indagine viene riaperta e si conclude con l’ammissione che Calvi fu strangolato da due o più persone con una corda e che quindi il suicidio fu solo una messa in scena.
L’INCHIESTA ROMANA– Dopo lunghi anni di indagini, il 5 ottobre 2005 a Roma si apre il processo penale.
A sedere sul banco degli imputati sono Flavio Carboni, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi, il contrabbandiere Silvano Vittor e la fidanzata dell’epoca di Carboni, Manuela Kleinszig (la cui posizione è però marginale).Le accuse nei loro confronti sono di aver partecipato a vario titolo e in concorso con altri all’uccisione di Roberto Calvi.
Ecco quanto riportato nel capo d’imputazione: “[…] Avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa Nostra e Camorra cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni; conseguire l’impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti”.
Il 6 giugno 2007 il processo di primo grado si conclude con l’assoluzione di Calò, Carboni, Diotallevi e Vittor, secondo la vecchia formula dell’insufficienza di prove. La Kleinszig invece viene assolta con formula piena. Un passo avanti nella ricerca della verità in questa vicenda è comunque stato fatto, perché la Corte stabilisce senza dubbio che si sia trattato di omicidio e non di suicidio.Il 30 maggio 2009 il procedimento bis sul caso dell’omicidio di Calvi, che ha per indagati per concorso in omicidio volontario l’ex capo della P2 Licio Gelli, lo svizzero Albert Hans Kunz e il boss Gaetano Badalamenti, viene archiviato.
Il secondo grado del processo penale, che vede imputati Carboni, Diotallevi e Calò, si conclude il 7 maggio 2010 con la conferma dell’assoluzione degli imputati.
In particolare, la Corte conferma che “Cosa Nostra impiegava il Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio”: questo, se da un lato “conferma la possibilità di individuare un valido movente dell’omicidio”, dall’altro “allarga la platea delle persone alle quali è possibile riferire tale movente”. In tanti, secondo i giudici, volevano la morte di Calvi: “Dalla mafia alla camorra, alla P2, allo Ior e ai politici italiani (beneficiari delle tangenti o interessati a cambiare l’assetto del Banco Ambrosiano o a mutare gli equilibri di potere all’interno del Vaticano”.
Non solo, anche i servizi segreti inglesi potrebbero aver avuto un ruolo “essendosi acclarato che Calvi aveva, tra l’altro, finanziato l’invio di armi in Argentina durante il conflitto per le Falkland”.
Date queste premesse, la decisione di ieri della Cassazione non lascia sorpresi. Nessun nuovo processo, dunque, per la misteriosa morte del “banchiere di Dio”, la cui verità, perdonate il gioco di parole, a questo punto resta veramente nelle mani di Dio…