Morto di fame

Da Giuseppe Lombardo @giuslom
Tre mesi dopo la sentenza e tre anni dopo i tragici avvenimenti. Tanto è servito alla giustizia italiana per stabilire, almeno in primo grado, che la morte di Stefano Cucchi, lungi dall'essere un mistero, è semplicemente un caso di "inanizione". I periti hanno redatto le loro osservazioni e la terza Corte d'assise di Roma accogliendole ha deciso di fare il resto. Non ci sono state violenze di ogni sorta, nessuna "tortura" è stata perpetrata (reato, fra l'altro, ancora non previsto dal nostro ordinamento), né tantomeno è stato possibile identificare uno straccio di abuso di potere: a dispetto degli scatti che hanno sconvolto l'opinione pubblica nazionale, il giovane romano arrestato il 15 ottobre del 2009 è morto non già per le percosse, ma per malnutrizione. Capita.I "corretti, comprovati e documentati elementi fattuali", riportati nelle perizie dei tecnici incaricati, superano ogni ragionevole dubbio: dietro la tragedia che si è consumata non può essere riscontrata una responsabilità oggettiva della polizia penitenziaria. Nossignore. La colpa ricade semmai sul personale sanitario, poiché solo una simile conclusione è in grado di "fornire una spiegazione dell'elemento più appariscente e singolare del caso, e cioè l'impressionante dimagrimento" del detenuto. Magra consolazione: quantomeno è stata dispensata la cucina familiare ed è stato scongiurato il rischio di una tardiva denuncia di anoressia. Di questi tempi non è poco. La Corte, infine, ha superato se stessa. In un improvviso momento di lucidità il Collegio ha ammesso che "è legittimo il dubbio che Cucchi, arrestato con gli occhi lividi (perché molto magro e tossicodipendente) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato" dalle forze dell'ordine. Tuttavia "non è certamente compito della Corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui". Non sia mai. E' dai tempi del G8 di Genova che, capito l'andazzo, i tribunali non perdono tempo appresso a queste pinzillacchere. Si adeguano allo spirito dei nostri giorni. L'unico precedente che fa fede è quello della scuola Diaz, una situazione truce e paradossale, che solo per discrezione non viene elevata esplicitamente a modello in casi simili o analoghi. D'altronde lo si era capito sin da subito: il processo non era un tentativo di giungere alla verità per porre la parola fine a questo scempio, ma piuttosto una condanna alla memoria della buon'anima, che non potendo difendersi da sola e disponendo delle isolate voci di testimonianza familiare, gode - suo malgrado - di una posizione giudiziaria assai sfavorevole.
E allora bisogna accontentarsi: Cucchi è morto di fame, era un drogato marcio, quindi se l'è andata a cercare, per parafrasare la pietas cristiana di Giovanardi. Gli agenti in servizio, invece, hanno fatto il loro mestiere e se qualcuno ha esagerato un po', bontà sua, merita il perdono perché la divisa va difesa ad ogni costo. In Italia funziona così: se non sei un parlamentare pregiudicato, delle tue sentenze non frega una mazza a nessuno, neanche ai cultori della riforma della Giustizia. E' il principio del garantismo a targhe alterne. Se ti chiami Silvio B., invece, trovi tappeti rossi e saggi quirinalizi intenti a difendere gli strappi che celebri costantemente in mondovisione. Ma quando il diritto difende la parte più forte, non smette per caso di essere equo e si tramuta in pessimo arbitrio?
G.L.

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