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Morto un David Bowie non se ne fa un altro

Creato il 13 gennaio 2016 da Postik @postikitalia

di Gianpaolo D’Elia

A tre giorni dalla morte, sembra sin troppo scontato dire che il suo ultimo album appare in tutto e per tutto – sia per il titolo che per i testi delle canzoni –  come una sorta di testamento spirituale. Blackstar è il titolo del suo album-testamento, cupe sono le tonalità, le atmosfere evocate e persino la copertina.

Inquietante ed enigmatico il video che proprio in questi giorni ha lanciato il brano “Lazarus”, una delle sette canzoni contenute in questa ultima fatica di Bowie, la ventottesima. E davvero di fatica deve essersi trattato: smunto e scheletrico, i denti rovinati dalla chemio e due bottoni piantati al posto degli occhi; questa l’ultima l’immagine che la star del rock inglese ha voluto lasciare di sé. Una immagine dura e spietata, ma vera “Ho visto un uomo lottare come un leone e continuare a lavorare nonostante tutto, anche sul letto di morte. Ho grande rispetto per tutto questo”, questa la affermazione del regista del musical Lazarus, Ivo van Hove.

Ma ci permettiamo di osservare che forse non è questa la cosa straordinaria. Straordinaria è stata invece la sua tenace volontà di non volersi nascondere, di mostrarsi così, malato e fragile. Dal maestro del trasformismo e del rock degli anni Settanta e Ottanta non avremmo potuto aspettarci un addio differente.

Il suo rapporto d’amore con il pubblico comincia sin dal lontano 1966, quando è pubblicato il suo primo singolo dal titolo, Can’t help thinking about me, a nome di David Bowie e The Lower Third. Diventa nel giro di pochissimi anni un mito giovanile, grazie alla straordinaria creatività artistica che si manifesta anche attraverso alcune incursioni nel mondo di celluloide, prima in modo quasi timido con alcune particine, fino al successo del 1976 nel film L’uomo che cadde sulla Terra, di Nicolas Roeg, in cui interpreta in modo convincente il ruolo di un extraterrestre giunto sulla Terra in cerca dell’energia necessaria alla sopravvivenza del suo remoto pianeta. Negli anni Ottanta – diventato ormai un’icona –  lancia il suo più grande successo commerciale, Let’s Dance, con il quale sperimenta un raffinato viaggio attraverso il rock’n’roll, il funky e la dance music.

Airaghi David Bowie

David Bowie, di Mario Airaghi. Clicca per ingrandire

Tuttavia la sperimentazione non si ferma lì: proprio nel periodo più commerciale della sua carriera stupisce tutti i suoi fan, e non solo, formando i Thin Machine, un quartetto che suona un rock tanto estremo quanto disastroso dal punto di vista commerciale. Nel 1997 è perfino quotato in Borsa, grazie all’emissione dei Bowie Bonds effettuata offrendo a garanzia le royalties ricevute per i dischi venduti fino al 1993 (circa un milione di copie l’anno).

Ma l’uomo Bowie segue una strada diversa – solo parallela – a quella dell’artista: riservato e poco disponibile alle interviste, soprattutto negli ultimi anni  preferisce vivere in modo appartato circondato dall’affetto della sua famiglia: la moglie Imam, sposata nel 1992, e i suoi tre figli.

L’ultimo importante riconoscimento è del 2008, quando è inserito dalla rivista Rolling Stones al 23° posto nella lista dei 100 migliori cantanti.

Oggi il mondo della musica è più povero, una frase banale quanto scontata,  ma con qualcosa in più di un fondo di verità.

Gianpaolo D’Elia

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immagine: Mario Airaghi


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