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Morto un neurone, NON se ne fa un altro!

Creato il 23 gennaio 2014 da Abattoir

#1
Morto un neurone, NON se ne fa un altro!Sul collo, anche se non tutti lo sanno, c’è una cosa che si chiama testa.
Dentro la testa, per chi avesse dubbi o troppi impegni con le sue parti basse (peni) o estreme (unghie rifatte) per accorgersene, c’è quella cosa molliccia di circa un chilo e mezzo che si chiama cervello; attenzione: non prosciutto, pere, mele, botox, ma CERVELLO! Questa cosa molliccia non è da poco, perché regola le nostre funzioni vitali e dà vita alla mente. (Non stupitevi di questa introduzione, gira voce che la Minetti creda che la mente abiti nelle tette).
E ancora: dentro le mollitudini cerebrali ci sono cento miliardi di cosine tutte collegate tra loro che si chiamano neuroni. Questi neuroni e le loro connessioni rappresentano la nostra beneamata intelligenza, e dunque il nostro tanto millantato Q.I. A questo punto, ci sono due due cose che dobbiamo sapere per amore della nostra cara, vecchia, Intelligenza:
1) Il neurone è una cellula perenne: nasce, cresce, non si riproduce e, se non lo concimi a dovere, crepa. Ciò vuol dire che se muore, muore: caput e pace all’anima sua. Nessuna resurrezione dopo tre giorni. Ovviamente, la morte dei neuroni compromette la capacità cognitiva: se il tuo neurone defunge, tu ti rincitrullisci, come per la famosa caduta dal seggiolone.
2) I neuroni sono esperienza-dipendenti: se li usi, crescono, stringono amicizia tra loro, diventano nnà putienza e ti rendono un piccolo Einstein; ma quando non sono usati, da bravi strumentini intelligenti ed ecologici quali sono, fanno harakiri: decretano il loro suicidio economico per lasciare ossigeno ai fratellini-neuroncini. Perdiamo milioni di neuroni fin dalla nascita, è un processo inevitabile: tutti quelli che non usiamo vanno ad auto-seppellirsi saggiamente tra una circonvoluzione cerebrale e l’altra. E prima i nostri neuroni si suicidano, prima noi restiamo “de-menti”, cretini prima del tempo.
PANICO e DISPERAZIONE tra le folle, eppure evitarlo è semplice: basta arredare la propria palestra cerebrale, cioè leggere, ragionare, pensare, non perdere le proprie conoscenze, coltivarle, cercare nel vocabolario cosa vuol dire “tracotante” anche se ti siddia, attivare più processi riflessivi e connessioni mentali possibili. Solo così possiamo ridurre le inevitabili involuzioni cognitive; ovvero, traducendo: non perdere la memoria a quarantaquattro anni, continuare a saper fare “radice di 9×37” in cinque secondi anche a sessanta e saper ancora leggere Kant a ottantatré come la Montalcini.
Rassegnatevi, dunque, oh proseliti del consumismo, dei mediastore e della chirurgia estetica: forse la vostra posizione sociale deriverà dallo schermo ultrapiatto che tenete in salotto accanto alle vostre chiappe sintetiche di ultima generazione, ma la vostra intelligenza corrisponde all’equazione: “ < conoscenza =  < neuroni =  > demenza”. Ovvero, “produci, consuma, crepa”.

#2 Il paradosso della felicità
“Fintanto che la teoria economica ha potuto far credere che essere felice fosse la stessa cosa di avere la felicità, essa è riuscita a contrabbandare l’utilità per la felicità e dunque a persuadere che massimizzare l’utilità fosse operazione non solo razionale, ma anche ragionevole, espressione cioè di saggezza. I nodi sono venuti al pettine quando si è scoperto, per via empirica e non deduttiva, che, oltre un certo livello, l’aumento del reddito pro-capite diminuisce il benessere soggettivo” (Bruni & La Porta).

“Il paradosso della felicità è legato al fatto che nelle economie occidentali è sempre più diffusa la percezione di una riduzione del benessere personale e della qualità della vita. Questo significa che il benessere delle persone e la loro qualità della vita non provengono dai beni e servizi di utilità che si possono comprare. In sostanza, il denaro serve e conta, ma i cosiddetti beni relazionali sembrano servire e contare ancora di più”
(Giorgi).
Il concetto di ‘bene relazionale’ indica “quelle esperienze umane dove è il rapporto in sé a essere il bene. L’amicizia, l’amore reciproco e l’impegno civile sono tre tipici beni relazionali nei quali è la relazione stessa ad essere il bene” (Nussbaum).

Ricolleghiamoci qui a quanto detto sulla mortalità neuronale e sul nostro rischio di rincitrullimento: la dimensione sociale svolge una fondamentale funzione protettiva per la vita psichica: protegge dal rischio psicopatologico e favorisce l’utilizzo delle risorse personali disponibili per affrontare le difficoltà quotidiane. La vita mentale sana è tale non perché indenne dalle sofferenze, dagli stati di disagio e di disturbo, ma perché è dotata di fattori protettivi che costituiscono le risorse in grado di ricondurre costantemente all’equilibrio” (Fasolo, Ambrosiano, Cordioli).

#3

Morto un neurone, NON se ne fa un altro!
Dunque, ricapitolando:

  • Se è vero che il neurone è una cellula perenne, che non si riproduce…
  • …È anche vero che il Trota potrebbe (e dico potrebbe) ancora salvarsi arrestando l’inevitabile declino demenziale conseguito insieme alla laurea in Albania attraverso la riscoperta del bene relazionale, della lettura, dello sviluppo della capacità di PENSARE e di vedere l’Altro. Questa “difficilissima” attività gli consentirebbe, grazie alla capacità plastica del nostro mitico cervello*, un certo grado di recupero intellettivo.

Parola della ricerca neurologica.
Fatene tesoro.

 

*capacità di attivare zone vicarianti, sostitutive, che, se opportunamente stimolate, sono in grado di assumere la funzione di competenza dei neuroni defunti.


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