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Esiste una Ogigami Naoko’s factory come ci fu la Roger Cormanfactory? Probabilmente no, ma è certoche esiste uno stile Ogigami che ha generato un set di temi e attori chevengono ripresi in blocco in film successivi. La tendenza è stata inauguratadalla stessa Ogigami che, dopo il meritato successo di Kamome shokudō, ha riutilizzato lo stesso gruppo di attrici in Megane. Poi c’è stato l’infelice Pool e ora viene Mother water, finora il migliore prodotto del brand, direi, anche se resta da vedere l'appena uscito Tokyo oasis. Non solo ritroviamo in questo film le attrici principalidei film della Ogigami, ma la stessa Matsumoto Kana, qua all’esordio allaregia, viene dalla collaborazione con la Ogigami.Già la scelta dell’ambientazione, la tranquilla e coltaKyoto contro la frenetica e produttivistica Tokyo, ci pone su un terrenofavorevole alla riflessione e alla serendipity. In un borgo sul fiume Kamo vediamo scenedella vita di tre donne: la proprietariadi un bar che serve solo whisky (Kobayashi Satomi), la titolare di una sala dacaffé (Koizumi Kyōko) e la padrona di un negozio di tofu (Ichikawa Mikako). Intorno a loro ruotano e si incrocianoalcuni personaggi fra cui il gestore diun bagno pubblico (Nagayama Kento), l’impiegato di un laboratorio diarredamento (Kase Ryō) e una anziana signora che dispensa spunti dicomprensione e saggezza (Motai Masako). Nel replicare il modello Ogigami, la Matsumoto è brava adipingere gli elementi di base e a introdurre aspetti originali e personali.Non c’è una storia vera e propria mapiuttosto tante scene, isolate o interconnesse che, passo dopo passo, definiscono e trasmettonoallo spettatore un’atmosfera che origina emozioni perché riesce a rappresentare il senso di vitesemplici e anonime ma non banali e vuote. Conoscenze personali, amicizia, comprensione, solidarietà, sentimenti, percezioniamorose. Sono tutti temi importanti che si ritrovano suggeriti nel film ma ilmerito della Matsumoto è di non cercare inseganmenti o morali: semplicemente mostra il flussoimpercettibile di quella cosa indefinita che si chiama relazioni umane. Inquesto, l’acqua, con il suo scorrere placido e allo stesso tempo inesorabile, benraffigura il senso della narrazione. L’acqua è quella del fiume che definisceil borgo, l’acqua è alla base dell’attività delle tre donne (bar, caffé, tofu),l’acqua è tutto per il bagno pubblico. L’acqua di tutti questi luoghi del film,infine, ci dà quasi un’esperienza percettiva extrafilmica: ci semba di sentirela brezza della primavera vista sullo schermo che ci sfiora la pelle.Il film non giunge a nessuna conclusione e questo è uno deisuoi meriti. Nel non chiederci nulla ci regala alcune immagini placide maintelligenti e mirate che ci riconducono a quello spazio interiore dove cisono le grandi domande come: chi siamo?dove andiamo? [Franco Picollo]
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