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Motivi economici e non morali per l’attacco alla Siria

Creato il 29 agosto 2013 da Laperonza

 

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Da quasi vent’anni gli USA stanno trascinando i propri alleati in operazioni denominate, con diverse fantasiose sfumature, “missioni di pace”. Abbiamo visto interventi di “esportazione della democrazia” nelle aree più disparate e ne abbiamo visti i risultati. In particolare, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, l’aggressività americana ci ha regalato un susseguirsi di interventi militari la cui unica matrice è l’impostazione fondamentalmente economica della motivazione reale. Gli USA hanno bisogno di nemici per la propria economia, ed ogni qualvolta questa necessità si manifesti c’è sempre un buon nemico da combattere e abbattere. Così è capitato a Saddam Hussein, così ai Talebani, così a Gheddafi senza elencarli tutti. Ad accomunare tutti questi atti politico-militari c’è il risultato finale: incompiuto, irrisolto, fallimentare. E deve essere così: una soluzione definitiva elimina il nemico ma un nemico è sempre utile da tenere in fresco.

La questione dell’attacco chimico da parte del regime siriano è pretestuosa. Non ci sono prove certe, non ci sono testimonianze attendibili, non c’è una dichiarazione ufficiale. Siamo di fronte ad una nuova accusa, che potrebbe essere fondata ma non è provata, che fornisce la motivazione di un attacco militare. Ma ricordiamo bene accuse analoghe nei confronti del dittatore iracheno di cui oggi l’unica prova che abbiamo è che non c’erano prove e che, molto probabilmente, tali accuse fossero infondate. È evidente la prevaricazione del regime di Assad e l’uso della violenza contro il suo popolo, ma siamo di fronte ad una guerra civile e la storia, anche recente, ci insegna che interventi esterni non risolvono, semmai aggravano.

Guardiamo l’Afghanistan: oltre dieci anni di combattimenti, migliaia di morti, e la situazione è tutt’altro che stabile. Dall’Iraq giungono poche notizie ma non sembra che la democrazia sia stata esportata con successo. La Libia è in un’escalation di violenze inaudite. L’Egitto è in piena guerra civile.

Purtroppo i popoli arabi fanno fatica a gestire la democrazia, specie quando imposta. Spesso le elezioni vengono vinte da partiti religiosi che in genere possono percorrere due strade: quella democratica dimostrando grandi limiti dovuti ai pregiudizi di natura culturale e quella totalitarista, instaurando regimi peggiori di quelli rovesciati. È lecito immaginare che possa accadere la stessa cosa in Siria.

Un intervento militare, quindi, ancorchè inaccettabile da un punto di vista morale per chi ripudi seriamente la violenza, sarebbe inutile e dannoso. In Siria esiste una fortissima componente di natura islamica nelle fazioni ribelli che lascia immaginare una presa di potere di natura religiosa. Quali possano essere le conseguenze è facile da prevedere. Certo il massacro dei civili va fermato ma certamente non con un intervento militare. Occorre un’azione diplomatica seria e forte, che coinvolga tutte le nazioni civili ivi comprese quelle storicamente alleate del regime di Assad, come Russia e Cina. Occorre una posizione americana più netta, che non passi da una sostanziale indifferenza all’uso delle armi. Ma è probabile che prevarrà la volontà violenta, dettata più da necessità economiche che da una reale convinzione di opportunità.

Luca Craia


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