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Motto di governo: truffa, truffa, ambiguità

Creato il 22 ottobre 2013 da Albertocapece

Enrico-Letta-Governo-delle-larghe-intese-586x390Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non sono particolarmente interessata alle capacità di comunicatore di Letta, benché gli vada riconosciuto lo sforzo, in società post gaudenti ed espropriate di piaceri come di rabbia, di trasmettere messaggi dal nulla, dal vuoto torricelliano,  riuscendo ad esaltare l’operato di un governo che si fa  bello di aver tirato via dal welfare, dalla sicurezza, dalle nostre tasche, un piccolo malloppo, delegando ad altri, rappresentanti politici, parti sociali, improbabile società civile il compito di ripartirli secondo pulsioni, pressioni, potenza e muscolarità di ogni possibile lobby.

Sono invece davvero colpita dal  suo disinvolto e spregiudicato istinto alla menzogna, che,  a dar ragione a Platone, Machiavelli, o Arendt, nel bene o nel male viene considerata parte integrante, virtù o vizio connaturato, all’arte della politica. Se è così ieri sera da Gruber per la prima volta Letta ha esibito una statura da leader, aiutato come ormai avviene sempre dall’innaturale ma entusiastica renitenza di giornalisti, intervistatori e commentatori ad esigere informazioni, dati, numeri il più vicini possibili alla realtà, se non alla verità.

Io a Galbraith darei il Nobel, non per l’economia, ma per la letteratura, per via di una saggistica provocatoria e soprattutto di una sua folgorante immagine che descriveva perfettamente le fattezze della società occidentale fino a qualche anno fa: opulenza privata in pubblica miseria. Rappresentazione fulminante  ma superata da nuove miserie di ceti che soffrono la perdita a loro dire sorprendente e inattesa di beni, garanzie, privilegi. Ma proprio lui aveva invece preconizzato con un agile libriccino di una decina di anni fa cosa ci sarebbe capitato tra capo e collo, favorito anche in questo caso dall’indole all’inganno e alla frode dei poteri e del regimi. E da quella alla  dabbenaggine, alla credulona accettazione di bugie e giochi di prestigio,  dei popoli.

Secondo Galbraith c’è un virus, che suona come un ossimoro e che ha contagiato il sistema economico e politico mondiale: è la “frode innocente”, quella secondo la quale l’inganno e il falso sono accettati sia da chi li compie che da chi li subisce, perché endemici nel tessuto sociale. In questo modo la realtà viene mistificata e condizionata dagli interessi dei poteri forti, così come e i comportamenti dei cittadini sono plasmati dalla “saggezza delle abitudini”, da norme forgiate dalla consuetudine a una democrazia formale, dalla cautela in difesa di prerogative.

In un mondo che distorce a suo piacimento la verità, dando vita a miti e convenzioni aberranti: la speculazione come manifestazione d’ingegno, l’economia di mercato come antidoto ai mali del mondo, il profitto come indiretto distributore di benefici indifferenziati anche agli ultimi e ai sommersi, la guerra come strumento di democrazia e perfino di aiuto umanitario.

La crisi che attraversiamo è frutto della più prestigiosa e acrobatica forma di truffa, della più elegante e aerea fuga dalla realtà: il gioco di prestigio dei derivati, l’illusorietà del gioco d’azzardo, la promessa di una ricchezza impalpabile e facile che circola come una polverina magica, imprevedibile come un capriccio barocco. E proprio per questo imponderabile, almeno per quelli che proprio Galbraith definisce gli sciocchi condannati a allontanarsi dai loro soldi, nel passaggio da abbondanza a ristrettezza, nella trasformazione da espansione a bolla speculativa e poi a inflazione e quindi declino della produzione, disoccupazione, diminuzione dei redditi,  giù giù fino alla rovina.

Così gli stessi che si sono fatti incantare dalla grande illusione, ai venditori di bond come i maghi di Vanna Marchi, alla fortuna regalata dei derivati come l’elisir di Dulcamara, ai fondi e ai mutui “garantiti” come le vincite alle macchinette mangiasoldi di Las Vegas, quelli che hanno pensato che un po’ di morale in meno e un po’ di spregiudicatezza in più, un po’ di impegno in meno e un po’ di buona sorte in più rendesse invincibili come Gekko, adorati dalle donne, idolatrati dai subalterni promossi a baciati dalla stessa fortuna, una volta compreso che la pozione è solo acqua colorata, vuole credere che il destino giri se lo si mette nella mani di personalità  “rispettabili”, note e convincenti, grazie alla convinzione che qualcosa di così complesso,  multiforme e importante per tutti e ciascuno come il denaro e il lavoro che lo dovrebbe produrre, possa essere governato attraverso decisioni poco invadenti, indolori, delicate, prese in vecchi edifici storici, discreti e ovattati  situati in remote capitali.

E le menzogne di Letta, di un ceto abile solo nella truffa legale, ai danni nostri e della democrazia, vorrebbero farci credere proprio questo, che al nostro bene pensano loro, che agiscono nel nostro interesse, che la condanna all’odierno e imponderabile sacrificio prevede una redenzione, una grazia che loro stessi ci offriranno come un magnanimo dono. Ma il nostro peccato è credergli, come il loro è averci portato a questo. Il nostro lo stiamo pagando, facciamogli scontare il loro togliendogli la voce per mentire, le mani per sottrarre.


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