Mr. Brooks è un imprenditore di successo. Un uomo dall'apparente calma super controllata, uno con un capello mai fuori posto. Con l'ufficio immacolato e dalle abitudini rigorosamente rispettate fin nei minimi dettagli. Mr. Brooks frequenta un gruppo di alcolisti anonimi ed è solito affidarsi a una delle più note preghiere circolanti nelle terapie di questo genere, quella scritta del teologo Reinhold Niebuhr, La preghiera della serenità.
Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per conoscere la differenza.
Sulla scia di questi intimi confessionali del signor Brooks, il regista Bruce A. Evans, cerca ("cerca") di costruire un thriller che gioca sulla duplice identità del protagonista, riflessa tra l'altro allo specchio in più di un'occasione, quasi si sentisse il bisogno di sottolineare allo spettatore che Marshall fosse effettivamente l'alter ego di Brooks. Certo tutto riporta a quel Fincher di Fight Club. Terapia di gruppo, alter ego e l'apatia di un comune essere umano. In realtà sembra più un disperato e patetico tentativo di scopiazzare qualche idea per metterla dentro il film. La sceneggiatura non credo sia il problema più grande di questa pellicola. Pensare che è stato scritto dalla coppia Raynold Gideon, Bruce A. Evans alias quelli che hanno adattato il racconto di Stephen King The Body per quel piccolo capolavoro dai battiti adolescenziali diretto da Rob Reiner, Stand By Me.
Lontani anni luce da quelle vette, di questo Mr. Brooks si potrebbe dire semplicemente che Kevin Costner il serial killer non lo può proprio fare. Poco credibile, a tratti perfino ridicolo e imbarazzante. Basti pensare al suo modo di enfatizzare il post omicidio, con una mezza giravolta e una sorta di orgasmo da serial killer. Così come è fastidioso il suo modo di tirare su il naso tutte le volte che la sua vocina malefica Marshall tira fuori il suo lato oscuro e questi, il signor Brooks, non riesce a dominarla finché non sarà costretto a cedervi. A peggiorare ulteriormente la credibilità del film mettiamoci la presenza della poliziotta coatta Demi Moore, così come quella del giovane voyeur cretino "aspirante" serial killer.
C'è chi può e chi non può. Io può...
Insomma l'idea non era originale e gli attori non hanno aiutato affatto. Guardando la locandina di questo film, del 2007, ho ripensato ad un altro titolo che al contrario ricordo mi sorprese in maniera positiva. One hour photo è a mio avviso, la prova vivente del fatto che un grande attore (Robin Williams ad esempio), possa calarsi in ogni ruolo.
E poi diciamoci la verità, papà Kent che sgozza un poveretto con una pala, non si può proprio guardare...