La quarta uscita della nostra rubrica, dedicata al legame fra musica e letteratura, alla ricerca della melodia più adatta per assaporare il lavoro che lo scrittore ha faticosamente costruito per noi lettori, inizia con il buio, inizia con la notte.
Chitarra elettrica, che solletica una sola nota, ancora e ancora, la partitura originale, in D major (Re maggiore), prevede anche un pianoforte che sembra accettare il ruolo di comprimario nei confronti della chitarra di buon grado, ma non lasciatevi ingannare, è lì per darvi fastidio, è lì per depistare la vostra tanto amata razionalità, è lì per farvi ascoltare ciò che qualcuno potrebbe dire non esiste, non è mai esistito. Pronti? Bene, allora scegliete un posto nella vostra mente dove nessuno vi potrà raggiungere, chiudete gli occhi al mondo e riapriteli in quel rifugio, cosa vedete? Sì, lo so, all’inizio sarà oscuro e opaco, ma insistete. Ecco, sì, lo vedete? È un treno. Un treno che sbuffa, un treno a vapore, perché ha iniziato a viaggiare negli anni ’40 del Novecento. Ora siete su quel treno a fissare un sedile vuoto. Ma su questo treno nulla è come appare. Intanto la musica sale, una voce comincia a parlarvi, sì, si rivolge proprio a voi: «It's a dark road. It's a dark road and a dark way that leads to my house. And the word says you're never gonna find me there oh no. I've got an open door. It didn't get there by itself. It didn't get there by itself. And a dark way that leads to my house and the word says you're never gonna find me there.» É la voce di una donna, è la voce di Annie Lennox, sarà lei ad accompagnarvi in questa dark road, sarà lei a sfidarvi a conoscere Fabio Stassi, uno scrittore, ma ancora prima un lettore come voi, che su questo stesso treno ci è nato e da questo treno non è più sceso. Confusi? Non desistete, citando la scrittrice indiana Jhumpa Lahiri «Non è possibile insegnare a qualcuno la solitudine, la dedizione e la tenacia, senza le quali non si può diventare uno scrittore.»
Pensate che non debba valere anche per il lettore? Fabio Stassi di tenacia e dedizione ne ha avuta tanta, trovandosi a fissare lo stesso sedile vuoto che ora fronteggiate voi. Con caparbietà l’ha osservato, cercando, mentre il treno accelerava la sua corsa, mentre quel pianoforte insisteva a pungolarlo e la voce gli diceva che era una strada oscura quella che stava intraprendendo, la porta su un mondo sempre diverso, la porta che avrebbe portato Stassi a creare la sua enciclopedia dei personaggi letterari[1], i personaggi dei romanzi che più ha amato, in carne e ossa, anzi in inchiostro e lettere, materializzati per nostro diletto su quel sedile. Personaggi che spesso si sono dilatati «fino a comprendere una palla da base-ball, uno stabile, una città…», un intero universo parallelo in cui noi lettori siamo entrati con perplessità, una perplessità che nascondeva il timore di aver scelto una strada che non portava da nessuna parte o in nessun luogo, da un personaggio che non era quello sperato, che avrebbe tentato di sfuggirci, ingannarci, deluderci. Ma la tenacia e la dedizione verso quel coacervo di segni, colla e carta che noi chiamiamo libro, ci ha permesso di accogliere su quel sedile personaggi come Corrado da La casa in collina di Cesare Pavese che seduto scomposto, con il viso da eterno ragazzo risucchiato da troppe rughe per la sua età, con le gambe strette al petto, ci ha raccontato «Per anni attesi la vita come si aspetta una donna, con solitaria superbia, sicuro che tutto – occasioni, fortune, accidenti – fosse ancora di là da venire. […] La collina era il mio modo di vivere, di sfumare in una curvilinea gli spigoli dell’esistenza, e anestetizzare il dolore e la ferocia.»
Dopo di lui potreste soffermarvi ad ascoltare gli opulenti racconti di Don Fabrizio, principe di Salina, per nulla spettinato dopo essere sgusciato da Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, perché il suo segreto è una lozione che fa arrivare direttamente da Londra. Cercherete di consolare invano il dottor Živago mentre vi descrive nei minimi lucidi particolari le sue «emorragie del cuore», come solo Boris Pasternak le ha saputo generare. Se nel frattempo si è fatto abbastanza tardi per apprezzare a pieno la parola di Vonnegut, vi troverete a fissare una «vecchia scarpa sgangherata» fuggita dal carcere di Gerusalemme per raccontarvi di quando era un idolo per le folle, di quando era ancora Howard W. Campbell, ma forse preferirete chiacchierare con Hank, detto anche Charles, di corse di cavalli, di Los Angeles e delle vite che gli altri vivono e che a lui non piacciono, come non piacevano al suo creatore (Charles Bukowski). O forse a questo punto vorrete fare la conoscenza di una ragazza, con un cappotto marrone, consumato fino all’inverosimile, che ha l’abitudine di rubare le rose al cimitero per portarsele nella sua camera. Avrete voglia di conoscere Lucie e ciò che Milan Kundera ha creato per lei e per voi. Ma nel mezzo dei suoi racconti Lucie inizierà a sgretolarsi, la luce si sarà infiltrata nel vostro rifugio e con essa il rumore della città. La voce di Annie Lennox si affievolirà, ricordandovi che quella porta rimarrà aperta per voi, ma non per sempre, che avrete bisogno di rinnovare la vostra ricerca, ancora, presto. Il treno allora si fermerà e voi scenderete. Riaprirete gli occhi sul mattino. Fatelo con calma. La luce può fare molto male. Ma i personaggi saranno lì ad aspettarvi e voi non vedrete l’ora di sapere cosa sarà accaduto a Lucie.
[1]Il titolo completo dell’opera di Fabio Stassi è Lolita, Živago e gli altri - Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999) – minimum fax 2010
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