La sonata per violino solo di J.S. Bach. Per la precisione la sonata n.1 in G Minor, BWV 1001, primo movimento: Adagio. Ancora di più, l’interpretazione di Isabelle Faust del 2012. È questa la musica da cui partiremo per gustare la settima uscita della nostra rubrica dedicata al legame fra musica e letteratura, perché è esattamente questa la melodia che vi germoglierà dentro, se deciderete di leggere Ogni angelo è tremendo di Susana Tamaro (Bompiani, 2013). Mentre l’autrice pizzica per il lettore le corde della paura, Isabelle Faust pizzica il suo violino, liberando profondità di osservazione che in pochi possono fronteggiare ed io, lettore fra tanti (poco amante delle autobiografie, spesso emblema di una persona che ha fatto della mancanza di ascolto uno stile di vita), scopro che la paura descritta dalla Tamaro, profonda e assoluta, perché generata da noi stessi, è stata anche la mia. Intanto la musica si sta avvicinando, precisa si prepara ad accerchiarvi, strizzando elegante ogni vostra emozione in un denso ricordo da cui non riuscite a fuggire. Una paura in cui vi sentite costretti a entrare dalla narrazione in prima persona della Tamaro, una paura silenziosa, in cui ogni pagina spinge giù, con forza, come faceva il fratello di Susanna con la testa della sorella nella tazza del water. Giù e ancora più giù, per vedere fino a quando avrebbe potuto resistere; giù e ancora più giù, per capire quante emozioni possono essere portate via a un essere umano prima che scompaia. Così le persone che la grande Susanna fa osservare a quella piccola, che il lettore potrà sentire in questo libro ancora muoversi avanti e indietro dentro di lei, sono distanti, in un altro mondo, fatto di luce e di aria, su cui le parole della scrittrice si posano veloci, come note di polvere, cui basta un contatto per dissolversi e sparire. E allora alla piccola Susanna non resta che scendere ancora più giù. Procedere su un pavimento in cui la paglia è molto più presente delle travi e basta un sussurro per cadere ancora più giù, come un’Alice senza Bianconiglio, senza pozioni per crescere e ridursi a suo piacimento, senza serrature da cui fuggire, al massimo da cui è possibile sbirciare la luce, ma non perché si possa saltare in lei, ma solo perché il lettore la possa osservare con gli occhi, con le viscere della piccola Susanna. L’archetto di parole di Susanna Tamaro non si ferma, mai, nemmeno davanti ai passaggi più ardui. Virtuosismi con cui Bach cercava di colmare ogni possibile impervia e dolorosa strada della sua musica, in modo che nessuno potesse in futuro osare inserirne altri, allo stesso modo Susanna continua a suonare le sue parole, davanti agli impervi e dolorosi gesti degli “adulti”, che sembrano esporla a ogni possibile crudeltà, pur di non lasciarle lo spazio per compierne altre da “grande”. Da grande, quando si ricorderà che «le poesie sono parole verdi»1 come le aveva rivelato Ungaretti, dimostrandole che la vita può essere intesa anche come cammino e non solo come possesso, da grande, quando Susanna si rivolgerà al mondo continuando a osservare, a «scavare delle miniere»2 dietro i personaggi, come se imparasse qualcosa in più su di loro ogni volta che ce li presenta , ogni volta che ne brucia uno strato di pelle e di emozioni per noi e forse anche per lei.
1 Da Ogni angelo è tremendo di Susanna Tamaro (Bompiani – 2013) – pag. 113.
2 Dall’introduzione di Nadia Fusini a La signora Dalloway di Virginia Woolf (Feltrinelli – 2003) – pag. X.
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