Nadia Agustoni, IL MONDO NELLE COSE, Lietocolle 2013
Nella prima sezione del libro, Nadia Agustoni ci parla di un “altro”. Non lo nomina per nome ma ha un nome. È l’altro, l’altro da noi, il sofferente, che era, amava, ascoltava.
capì di essere solo
ma non c’era solitudine
- sul balcone una primula -
e infine case di ringhiera
odore di fiume:
si muore a confine di piccionaie
nella lentezza di bocce
nella nebbia dei bar.
p. 29
Lo sfondo sembra essere una città, Torino, almeno come spazio mentale di ogni alienazione in cui i paesaggi di periferia urbana si assomigliano tutti e le case, sempre quelle dei poveri, sembrano cellette d’alveare.
E poi orti, binari che seguono i confini di geometrie metafisiche, luoghi che un Dante contemporaneo forse avrebbe utilizzato per la descrizione di un altro mondo che tanto avrebbe finito per assomigliare al nostro.
La poesia di Nadia Agustoni, però, comprende bene che il realismo non salva. Dire le cose in sé non vuol dire inchiodarle alla cronaca del loro dolore lavandosene le mani. Così questo “egli” che abita il suo libro, si veste dei panni di un superstite che deve sopravvivere, si mimetizza nell’esperienza già stata e questo perché, per imparare la libertà, occorre sapere che “un uomo libero / quando è sconfitto non dà la colpa a nessuno”, (Iosif Brodskij)
Allora ci sono un Crusoe e un Venerdì, e il mondo è la loro isola, e l’esperienza è tagliata fuori dall’esperienza sociale; si tratta, piuttosto, di scoprire “il mondo nelle cose fino alle parole”, p. 53, annotare in un quaderno il futuro, mettere le istruzioni per salvarsi, per resistere; staccarsi dalla vita.
Questo Crusoe è alienato non perché voglia stare in solitudine, ma perché la solitudine è l’alienazione tra la folla, il non essere avvertito precisamente come l’altro; non amputato ma globalizzato e massificato perché non sentito più neanche come pericoloso.
Crusoe e Venerdì, dice Agustoni, “nella modernità forse nemmeno si incontrano (…) ma si guardano, si scrutano e proseguono da soli”, perché in fondo sono simili, ognuno chiuso nella propria claustrofobia e separazione, troppo intenti a percorrere strade, a tracciare le linee, neanche tanto immaginarie, di una topografia di dolore e separazione.
Nulla può la poesia, certo, ma in questo libro intensissimo, senza dediche, dedicato a tutti coloro che soffrono, Agustoni, infine, dopo tanta estraneazione del soggetto, si lascia andare a un canto commosso: gesto pietoso per un corpo.
Sebastiano Aglieco
Rotterdam, agosto 2013
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Corpo Nostro PPP
corpo nostro cielo di guardare
ripeti la fiume pianura ripeti
le dita nel cavo della bocca
metti visceri di cagna all’aria
vita e lingua dove sono vita
e lingua e la cura è cura
del proprio tempo:
sii corpo pensato
sponda del corpo bandiera
straccio della carne che nasce
sventola rinasce e nelle mani
dei morti e dei vivi come
un suolo più grande della morte
Virgilio degli inferni e del bosco:
qui la partita giochi al sole
dei campi romani là era l’attesa
senza cose un fronte di palazzi
bricolage un cemento a fare
cervello come il caglio
di pecore nel collo giovane
a pastura a vento:
vai mulino ai giganti
indossati veste d’arme
scrivi l’infinito dei gesti
quel che cade e si alza
e si alza ancora e sii piazza
vermiglio sonetto sulla luce
bianchissimo giorno:
scrivi come l’ossigeno
e soffione a dire bocca
il campo viene campo
per crescere città là nel fuori
diavolo e sangue fiori di poco
scrivi senza la legge del libro
senza il male:
p. 79
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