Con Il trattamento D Nancy Kress continua la sua indagine nella genetica dopo Atto Primo (cronologicamente il più recente dei tre anche se io l’ho letto per primo, con bambini dotati di eccezionali capacità empatiche) e Mendicanti in Spagna (la cui protagonista non aveva bisogno di dormire) per soffermarsi su uno dei sogni ricorrenti del genere umano, quello dell’immortalità.
Se in Mendicanti in Spagna era la protagonista ad aver subito le modifiche, dopo una prima parte in cui vediamo il padre programmarla fin da prima del comcepimento, e in Atto Primo avevamo assistito a un’indagine sulle persone modificate, qui seguiamo i ricordi di un anziano sulla donna che ha consentito di sviluppare il trattamento, vediamo alcune fasi determinanti della sua vita e assistiamo a un ultimo progetto su cui ripone tutte le sue speranze e aspettative.
Il racconto mescola abilmente ricordi del passato ed episodi presenti, senza fornire nessuna informazione a meno che non sia necessaria ma anche senza mantenere inutili segreti. Sembra tutto tranquillo, naturale, ma c’è qualcosa nell’aria, una tensione che porta avanti la storia.
Il risvolto di copertina spiega i limiti del trattamento D, la morte certa dopo vent’anni trascorsi senza invecchiare, ma questo è solo un elemento marginale nella storia di Max Feder e della sua ricerca di Daria. Ha la sua importanza, ma ciò che conta davvero sono le motivazioni dell’uomo, i suoi rapporti con chi lo circonda, lo scopo che lo anima e l’esito finale, tutt’altro che scontato. Ancora una volta complimenti all’autrice!